La truffa del tè scozzese che non lo era
Un imprenditore diceva di aver trovato un metodo per coltivarlo e lo vendeva ad alberghi di lusso in tutto il Regno Unito: è stato condannato per frode

La storia di una marca di prestigioso tè prodotto in Scozia, un posto con un clima troppo freddo per questa coltivazione, era un’ottima trovata pubblicitaria in un paese come il Regno Unito, dove il tè è una cosa seria e si stima che ogni giorno se ne bevano 100 milioni di tazze su una popolazione di circa 67 milioni di abitanti. Soltanto che non era vera.
Mercoledì l’imprenditore che l’aveva inventata è stato condannato in primo grado a tre anni e mezzo di carcere, dopo che a fine maggio era stato giudicato colpevole di una truffa da 650mila euro. Si chiama Thomas Robinson e tra il 2014 e il 2019 riuscì a vendere il tè della sua The Wee Tea Plantation a hotel sfarzosi di Londra e di Edimburgo e alla catena di grandi magazzini Fortnum & Mason, specializzata in articoli di lusso. In estrema sintesi, il processo ha concluso che Robinson rivendeva tè acquistato in altri paesi del mondo spacciandolo come pregiato tè coltivato in Scozia. Ma la truffa, le sue montature e le indagini che l’hanno fatta finire sono piuttosto rocambolesche, come ha ricostruito in questi giorni anche il Wall Street Journal.
Robinson aveva aperto la sua attività in una vecchia fattoria del Perthshire sul limitare delle Highlands, la regione montuosa della Scozia. Fu molto bravo a promuoverla, sostenendo di aver ideato una nuova modalità di coltivare il tè e millantando una serie di premi e di qualifiche che in realtà non aveva. Prima che si scoprisse, però, la storia del tè made in Scotland ottenne un certo risalto sui media britannici, sia locali che nazionali. Per questa ragione hanno ricevuto un’attenzione non comune anche il processo di questa primavera e la sentenza.
Negli anni Robinson arrivò a sostenere che il suo tè, servito all’hotel Dorchester di Londra (un cinque stelle), fosse «il preferito della Regina». Il tribunale ha concluso che si presentasse col «CV di un visionario», ma che nessuna delle cose che raccontava era vera: tra queste essere milionario, aver servito nell’esercito britannico, aver lavorato per l’amministrazione statunitense di Barack Obama.
Per Robinson le cose iniziarono a mettersi male nel 2017, quando la provincia di Perth and Kinross (quella in cui si trovava la sua piantagione) fece dei controlli per verificare che fosse in regola coi permessi per la lavorazione degli alimenti. Solo che l’imprenditore era praticamente irreperibile. Allora la provincia si rivolse alla Food Standards Scotland (FSS), l’agenzia governativa per la sicurezza alimentare. Le indagini furono affidate a Ron McNaughton, che prima di lavorare per la FFS era stato un ispettore di polizia.

Foto d’archivio del 2024 di una piantagione di tè in Sri Lanka: no, non somiglia alla Scozia (AP Photo/Eranga Jayawardena)
McNaughton si insospettì subito. La prima cosa che pensò fu che «non puoi far crescere il tè in Scozia», ha raccontato al Wall Street Journal. A McNaughton e ai suoi collaboratori sembrò inverosimile che la tenuta di Robinson potesse aver prodotto negli anni i 500 chili di tè venduti dalla sua marca.
Le indagini stabilirono infatti che il tè arrivava dall’estero, per esempio da Sri Lanka, Malawi, Cina, e veniva fatto spedire a un indirizzo di Glasgow, in Scozia. Robinson lo impacchettava e lo rivendeva col suo marchio.
Anche le piantine di tè che l’imprenditore descriveva come cresciute in Scozia in realtà provenivano da un vivaio italiano. Tra il 2015 e il 2016 secondo le indagini Robinson ci fece un discreto margine, rivendendone 22mila a cinque volte il prezzo a cui le aveva pagate (tre euro l’una). Subito prima della visita di un cliente corse a comprarne in un vivaio del Sussex (sulla costa sud dell’Inghilterra), per allestire in fretta un’esposizione dimostrativa nella cucina dell’ex fattoria.
Anche il presunto metodo rivoluzionario per coltivare tè in una zona così fredda era una montatura. Robinson parlava di uno «speciale polimero biodegradabile», che secondo il processo somigliava piuttosto ai sacchetti della spazzatura, e di una tecnica con lampade a luce ultravioletta che, secondo gli esperti, se fatta realmente avrebbe ucciso le piantine.
Robinson si è detto innocente, sostenendo che i documenti e le autorizzazioni erano state distrutte in un incendio o un’alluvione (ha cambiato versione). La causa contro di lui aveva due filoni: uno intentato dai grandi magazzini e dagli alberghi truffati e uno da altri coltivatori di tè che avevano comprato le sue piante. Grazie a questa storia però si è scoperto che in Scozia c’è almeno una trentina di veri coltivatori di tè. Involontariamente Robinson ha fatto pubblicità al settore, ha detto una di loro al Wall Street Journal.
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