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  • Mercoledì 25 giugno 2025

Cinquant’anni di famiglia Gandhi

Ma non quel Gandhi: il 25 giugno del 1975 Indira impose all’India una svolta autoritaria, e le successive due generazioni hanno segnato la politica del paese

di Valerio Clari

Indira Gandhi con i figli Rajiv e Sanjay nel giardino della loro casa di Delhi (Terry Fincher/Daily Express/Hulton Archive/Getty Images)
Indira Gandhi con i figli Rajiv e Sanjay nel giardino della loro casa di Delhi (Terry Fincher/Daily Express/Hulton Archive/Getty Images)
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Il 25 giugno di cinquant’anni fa, nel 1975, la prima ministra indiana Indira Gandhi dichiarò l’Emergenza, una sospensione delle normali libertà democratiche di fronte a “minacce interne ed esterne”. Durò per 21 mesi, in cui l’India imboccò una via autoritaria: fu la stessa Gandhi a mettervi fine, indicendo delle elezioni, che perse largamente (sarebbe poi tornata al governo anni dopo). Il periodo dell’Emergenza fu pieno di cose importanti, da arresti indiscriminati all’attuazione di politiche radicali sull’economia e sulla società indiane.

Cinquant’anni dopo tutto questo resta attuale ed è strettamente collegato alla situazione politica, per vari motivi. Il primo è che dopo oltre dieci anni di governo sempre più autoritario del primo ministro Narendra Modi, conservatore e nazionalista, molti oppositori ritengono che in India sia in corso una “Emergenza non dichiarata”, con arresti e processi che colpiscono gli oppositori e le libertà democratiche.

La seconda ragione è legata alla famiglia di Indira Gandhi. I suoi eredi controllano ancora il Partito del Congresso, che fu a lungo al governo e ora è la principale forza di opposizione al Bharatiya Janata Party (BJP) di Modi. Siamo alla terza generazione di Gandhi: Rahul e Priyanka sono meno carismatici, efficaci e potenti di nonna e padre, ma restano il vero collante del partito e forse dell’intera opposizione.

Prima di tutto bisogna chiarire una cosa, forse scontata. Indira Gandhi e i suoi parenti e successori non hanno niente a che vedere con il Gandhi più famoso, Mohandas Gandhi, detto “Mahatma”, protagonista dell’indipendenza dell’India dall’Impero britannico, ottenuta nel 1947. Indira è invece figlia di Jawaharlal Nehru, primo “primo ministro“ dopo l’indipendenza. Nehru e Gandhi si frequentavano, Indira da piccola ebbe contatti col Mahatma. Diventò Gandhi però con il matrimonio, sposando Feroze Gandhi, un uomo d’affari che in realtà si chiamava inizialmente Gandhy, ma cambiò il cognome in onore del protagonista della lotta non violenta, con cui non era imparentato.

Indira (in India tutti la chiamano così, per nome) studiò politica e la mise a frutto: nel 1966 divenne leader del Partito del Congresso, collocabile nel centrosinistra, e poi vinse largamente le elezioni. Nel 1971 dimostrò forza politica e capacità decisionale appoggiando l’indipendenza del Bangladesh e vincendo la guerra col Pakistan, nel 1975 si trovò a gestire una situazione economica complessa e molte resistenze del parlamento ad approvare le sue riforme.

L’Emergenza fu una svolta autoritaria, accompagnata da un progetto in 25 punti per l’ammodernamento dell’India che aveva anche obiettivi nobili e importanti, come l’istruzione di massa, la riforestazione, il superamento del sistema delle caste. Economicamente era un progetto di modernizzazione a guida statale, con molte attenzioni per la classe media. Gli effetti immediatamente visibili furono la censura e i moltissimi arresti: 110mila in due anni, tra cui molti giornalisti e oppositori politici.

Indira Gandhi durante un comizio della sua campagna elettorale, New Delhi, India, 3 marzo 1971 (Bettmann/Getty Images)

L’Emergenza è passata alla storia anche per altre due campagne: le sterilizzazioni di massa e la distruzione delle slum, le baraccopoli, soprattutto a Delhi. Entrambe furono gestite in prima persona dal figlio di Indira, Sanjay Gandhi, che era anche il suo erede politico designato. Il governo attuò una campagna di controllo delle nascite che passò per oltre 8 milioni di sterilizzazioni maschili, perlopiù forzate, spesso condotte in condizioni igieniche non adeguate e che portarono a infezioni e morti.

Le responsabilità di Sanjay sono discusse: secondo alcuni fu promotore dell’attuazione forzata delle sterilizzazioni, secondo altri furono gli esecutori locali, ricompensati in base ai risultati, a causare gli eccessi. Indira e Sanjay Gandhi rivendicarono invece il progetto di rendere Delhi “più bella” distruggendo i moltissimi insediamenti informali e quindi illegali: 700mila persone furono sfollate, migliaia di case e baracche distrutte, ma senza fornire soluzioni alternative: molti vissero in strada per anni o ricostruirono baracche e slum in seguito.

Indira Gandhi con il figlio Rajiv (Getty)

Indira Gandhi lasciò il potere nel 1977 e lo riprese democraticamente, di nuovo da prima ministra, nel 1980. Poco dopo iniziarono le tragedie che avrebbero segnato la famiglia. A giugno infatti Sanjay morì in un incidente aereo: perse il controllo di un ultraleggero che stava pilotando. A quel punto l’altro fratello, Rajiv, inizialmente riluttante alla carriera politica, si affiancò alla madre: oltre dieci anni prima aveva sposato una donna italiana, Sonia Maino, nata in provincia di Vicenza ma cresciuta fra Orbassano, Sangano e Giaveno, vicino a Torino. I due si erano conosciuti all’università in Inghilterra.

Indira Gandhi fu uccisa nel 1984 a casa sua, da due delle sue guardie del corpo. Era già sfuggita a molti attentati, la uccisero due sikh, per rappresaglia contro una operazione di polizia autorizzata dal governo contro il tempio sacro sikh di Amritsar.

A Delhi la sua casa è diventata un museo, e molte stanze sono rimaste come le aveva lasciate. È esposto anche il sari insanguinato che indossava quel giorno e il luogo dove fu colpita dai proiettili, nel giardino, è protetto da un vetro.

Due visitatori al museo di Indira Gandhi (Valerio Clari/Il Post)

Una delle stanze della casa di Indira Gandhi mantenuta come era al momento della sua morte (Valerio Clari/Il Post)

Di fatto, a Indira succedette il figlio Rajiv. Nel 1984 fu eletto capo del Partito del Congresso e quindi del governo, diventando il più giovane primo ministro. Governò fino al 1989: cercò di introdurre molte riforme in senso progressista, ma il partito fu al centro di vari scandali e Rajiv fu ampiamente contestato. Nel 1991, durante la campagna elettorale per tornare al governo, morì anche lui in un attentato suicida di un membro delle Tigri Tamil, un movimento indipendentista dello Sri Lanka.

Dopo la morte di Rajiv, la moglie Sonia rifiutò l’incarico di leader del partito e prima ministra, ma negli anni seguenti il suo coinvolgimento all’interno del partito fu sempre maggiore e ne divenne leader nel 1998. Anche quando vinse le elezioni però non assunse mai l’incarico di prima ministra. Rimase alla guida del partito fino a una decina di anni fa, quando lasciò l’incarico al figlio Rahul (ma la sua influenza è considerata importante ancora oggi). Durante la sua lunga carriera politica Sonia ha limitato i contatti e riferimenti all’Italia, per i quali avrebbe potuto essere contestata in India come “straniera”.

Si arriva così alla terza generazione dei Gandhi, la quarta considerando Nehru. Rahul, figlio di Rajiv e Sonia, è oggi leader dell’opposizione, dopo aver condotto negli ultimi anni una lunghissima campagna elettorale, con due marce che hanno attraversato l’India. Sono servite per recuperarne in parte l’immagine, indebolita da anni di sconfitte contro il BJP di Modi e da accuse di poca incisività, in un contesto peraltro sempre più complesso e con ridotti spazi democratici.

Il leader del Partito del Congresso Rahul Gandhi accanto alla madre Sonia Gandhi uscendo da un seggio elettorale, dopo aver votato alle scorse elezioni, New Delhi, India, 25 maggio 2024 (AP/Manish Swarup)

Anant Nath è il direttore del mensile Caravan, un giornale di lunghi articoli di approfondimento e d’inchiesta, uno dei pochi non allineati al governo Modi. Dell’opposizione dice: «Il Partito del Congresso ha problemi che non dipendono dal governo, come una certa incapacità di proporre un messaggio chiaro di un progetto alternativo, e altri invece legati alle difficoltà attuali di fare politica e criticare il governo». Dice che se si considera la democrazia solo da un punto di vista elettorale, l’India può ancora dirsi tale, dato che «si vota e non sono ancora stati provati dei veri brogli». Sotto tutti gli altri punti di vista però «le strutture democratiche sono molto deboli». Per questo si parla spesso di “Emergenza non dichiarata”.

Alle ultime elezioni è stata eletta per la prima volta anche la sorella di Rahul Gandhi, Priyanka, che fino al 2024 aveva avuto ruoli organizzativi all’interno del partito. In questi anni Raul, Sonia e il marito di Priyanka, l’imprenditore Robert Vadra, sono stati oggetto di varie indagini e inchieste da parte della magistratura indiana, ormai perlopiù sotto controllo diretto di Modi e del governo.

Pratishtha Singh lavora nello staff di Rahul Gandhi. Dice: «Da quando è stato eletto la prima volta Modi ha minacciato di far arrestare Sonia e Rahul, dipingendoli come rappresentanti di una casta corrotta. Sono passati dieci anni, ci ha provato in tutti i modi, ma davvero non c’è niente a cui possa appigliarsi. Ora ci sta provando col marito di Priyanka». Vadra e Pryanka hanno due figli che stanno completando gli studi: è presto per dire se ci sarà una nuova generazione. Rahul invece non ha figli, così come Modi, che in una società tradizionalista come quella indiana è riuscito a far passare sotto silenzio anche il fatto che non abbia una moglie o compagna. In realtà si sposò a 18 anni, ma il matrimonio durò pochi mesi, anche se non ha mai divorziato.

La presenza di una dinastia ereditaria come quella dei Gandhi in una democrazia appare molto più strano all’estero che in India, dove a livello regionale sono molti i partiti dominanti in cui i figli succedono ai padri come leader. Anche nel parlamento indiano una parte consistente dei seggi, assegnati con sistema maggioritario in collegi unici, passa di padre in figlio o figlia.

Più in generale le famiglie sono alla base anche delle maggiori aziende o delle case di produzione di Bollywood, l’industria del cinema in lingua hindi: i figli tendono a fare lo stesso mestiere dei genitori, qualunque esso sia, e la famiglia estesa su base patriarcale, che comprende nonni, zii e cugini, è spesso un’unità indissolubile anche fisicamente, con varie generazioni che vivono insieme, in piccole abitazioni oppure su diversi piani di lussuosi palazzi. Anche in questo campo l’influenza occidentale sta lentamente cambiando le cose, ma il modello resta tuttora predominante.

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