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  • Lunedì 23 giugno 2025

L’importante stretto commerciale che l’Iran minaccia di chiudere

Quello di Hormuz, nel mar Arabico: è centrale per i commerci di petrolio e gas naturale

(Tasnim/Getty Images)
(Tasnim/Getty Images)
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Dopo il bombardamento statunitense su alcuni dei propri siti nucleari, l’Iran ha minacciato di impedire il passaggio delle navi straniere nello stretto di Hormuz, un tratto del mar Arabico di cui controlla una sponda, e che da anni è centrale per il commercio mondiale di petrolio e gas naturale.

Domenica il parlamento iraniano ha approvato una mozione per chiedere al Consiglio per la sicurezza nazionale di «chiudere» lo stretto, come ha sintetizzato l’influente parlamentare iraniano conservatore Esmaeil Kousari. Il Consiglio per la sicurezza nazionale è un organo consultivo che aiuta Ali Khamenei, la massima autorità politica e religiosa dell’Iran, a prendere decisioni in politica estera.

In realtà ci sono grossi dubbi sul fatto che l’Iran possa prendere una decisione del genere: sia perché attraverso lo stretto di Hormuz esporta gran parte del proprio petrolio, sia perché bloccandone i traffici si attirerebbe l’ostilità di molti paesi, in un momento in cui i suoi tradizionali alleati sono in enorme difficoltà.

Lo stretto di Hormuz separa il golfo Persico, a ovest, e il golfo di Oman, a est, due tratti di mare che fanno parte del mar Arabico e più in generale dell’oceano Indiano. Deve probabilmente il suo nome all’antico regno di Ormus che intorno all’11esimo secolo d.C. controllava entrambe le sponde, quella nord e quella sud, che oggi sono divise fra Iran, Oman e Emirati Arabi Uniti. A sua volta il nome Ormus è un piccolo mistero: forse è legato alle estese coltivazioni di dattero (mog, in alcuni dialetti persiani) che già Marco Polo osservò da queste parti.

Il suo punto più stretto misura appena una trentina di chilometri. Fin dall’antichità apparve chiaro che chiunque controllasse le sue sponde avrebbe governato il traffico marittimo verso l’oceano. La più grande isola dello stretto, Qeshm, fu abitata fin dal terzo millennio a.C., mentre nella vicina isola di Hormuz (chiamata con lo stesso nome dello stretto) ancora oggi si può osservare una grande fortezza portoghese, il Forte de Nossa Senhora da Conceição, edificato nel 1515.

Negli ultimi decenni l’importanza dello stretto è aumentata dopo la scoperta degli enormi giacimenti di petrolio e gas naturale che hanno fatto la fortuna dei cosiddetti paesi del Golfo: su tutti, Qatar, Kuwait e Emirati Arabi Uniti.

Per molti di loro l’unico modo per esportare il petrolio estratto nel golfo è quello di stiparlo su gigantesche navi petroliere e metaniere e portarlo all’estero, soprattutto verso l’Asia.

È stato calcolato che circa un quinto della produzione totale di petrolio al mondo passi dallo stretto di Hormuz. L’ufficio di statistica del Dipartimento dell’energia degli Stati Uniti ha stimato che nei primi tre mesi del 2025 è transitata da qui una media di 20,1 milioni di barili di petrolio al giorno, su centinaia di navi.

Le navi di passaggio nello stretto di Hormuz la mattina di lunedì 23 giugno, tracciate dal sito VesselFinder

Il traffico è così intenso che le navi più grandi devono rispettare due “corsie”, una in direzione del golfo Persico, l’altra in uscita, larghe ciascuna 3 chilometri. Non sono corsie fisiche – non ci sono delle boe o dei cordoli, a delimitarle – ma sono tracciate sulle cartine dei sistemi di navigazione di ciascuna nave.

(AP Photo/Kamran Jebreili)

Le corsie passano sia per le acque nazionali dell’Oman sia da quelle dell’Iran. In passato è già capitato che il regime iraniano sfruttasse la sua posizione di controllo di parte dello stretto per attaccare navi che considerava nemiche. Negli anni Ottanta, durante la guerra contro l’Iraq, mise centinaia di mine nel golfo Persico per limitare il traffico di navi ostili.

Più di recente nei periodi di maggiori ostilità con l’Occidente ha attaccato e preso il controllo di navi straniere: come la petroliera britannica Stena Impero, sequestrata per più di due mesi nell’estate del 2019. L’anno dopo un missile lanciato dalla marina militare iraniana durante un test ha colpito per errore una nave iraniana che si trovava nei paraggi per partecipare all’esercitazione, uccidendo 19 persone (e dimostrando quanti danni possa fare un attacco del genere).

Negli ultimi giorni tutte queste ipotesi sono tornate attuali: all’Iran, insomma, non mancherebbero i mezzi per attaccare navi nemiche nello stretto, e così di fatto chiuderlo al traffico.

Non è chiarissimo però perché dovrebbe farlo. Secondo una teoria citata in queste ore chiudere o restringere di molto il traffico nello stretto costringerebbe i paesi che esportano petrolio a trovare delle vie alternative, e più costose, oppure a ridurre le proprie esportazioni. Il paese più colpito peraltro sarebbe l’Arabia Saudita, alleato degli Stati Uniti e tradizionale avversario dell’Iran in Medio Oriente: nel 2024 il 38 per cento del petrolio grezzo passato per lo stretto di Hormuz arrivava proprio dall’Arabia Saudita. È stata la quota più ampia fra i paesi del Golfo.

Chiudendo lo stretto il prezzo del petrolio in varie parti del mondo aumenterebbe in poco tempo, cosa che a sua volta, secondo questa linea di pensiero, dovrebbe rafforzare la posizione negoziale dell’Iran durante una eventuale trattativa per la fine della guerra con Israele e gli Stati Uniti.

Al contempo però ci sono diversi argomenti per sostenere che all’Iran stesso non convenga chiudere lo stretto di Hormuz. Prima di tutto perché anche l’Iran sfrutta lo stretto di Hormuz per esportare il petrolio estratto nelle proprie acque del golfo Persico. Per via delle pesantissime sanzioni occidentali in vigore ormai da anni il 90 per cento del petrolio iraniano è acquistato dalla Cina, e per arrivare nei porti cinesi passa proprio dallo stretto di Hormuz, insieme ad altro petrolio di cui la Cina necessita per soddisfare il suo fabbisogno energetico. Tenere aperto lo Stretto solo alle navi iraniane sarebbe logisticamente molto complicato, ed esporrebbe l’Iran a potenziali incidenti come quello del 2020.

Nei primi tre mesi del 2025 la Cina ha acquistato in media 5,4 milioni di barili al giorno fra quelli che transitano nello stretto di Hormuz, circa uno su quattro sul totale. Gli enormi interessi della Cina sono la ragione per cui nelle scorse ore il segretario di Stato statunitense (il ministro degli Esteri) Marco Rubio ha chiesto apertamente alle autorità cinesi di fare pressione su quelle iraniane perché non chiudano lo stretto.

L’analista Vandana Hari ha anche detto a CNN che più in generale «l’Iran ha molto da perdere e poco o forse nulla da guadagnare, da qualsiasi tentativo di chiudere lo stretto di Hormuz». Secondo Hari finora i paesi del Golfo hanno mantenuto una posizione neutrale e a volte anche benevola nei confronti dell’Iran durante gli attacchi israeliani: l’eventuale chiusura dello stretto metterebbe in difficoltà le loro economie e quindi li trasformerebbe all’istante in «nemici».

– Leggi anche: Sappiamo ancora poco sui danni ai siti nucleari iraniani

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