Firenze e il governo litigano sul teatro della Pergola

Il ministero della Cultura vuole togliergli lo status di “nazionale”, che significa perdere molti soldi e prestigio

L’interno del teatro della Pergola, Firenze, 2019 (Simone Donati/TerraProject/contrasto)
L’interno del teatro della Pergola, Firenze, 2019 (Simone Donati/TerraProject/contrasto)
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Tre membri della commissione consultiva per il teatro, un organismo del ministero della Cultura che valuta i progetti teatrali che richiedono contributi pubblici, si sono dimessi giovedì in segno di protesta contro la decisione della maggioranza della commissione stessa di declassare la Fondazione Teatro della Toscana da teatro nazionale a teatro della città. Fanno parte della Fondazione il teatro della Pergola (che è il principale) e quello di Rifredi, entrambi a Firenze, e l’Era di Pontedera in provincia di Pisa.

I teatri nazionali ricevono finanziamenti dal ministero, dunque perdere lo status significa anche perdere molti soldi essenziali per la propria stabilità economica: in questo caso si ipotizza un calo del 20 per cento dei finanziamenti. Il declassamento del teatro toscano non è ancora ufficiale, ma gli annunci degli ultimi giorni hanno intensificato uno scontro politico tra il comune di Firenze e il governo che va avanti da mesi.

L’apice dello scontro si è avuto appunto giovedì 19 giugno, quando Angelo Pastore, Alberto Cassani e Carmelo Grassi hanno presentato le loro dimissioni dopo che mercoledì gli altri membri della commissione avevano annunciato il declassamento. La commissione è composta da sette persone: Pastore, Cassani e Grassi sono rappresentanti degli enti locali (comuni, province e regioni), mentre gli altri quattro sono nominati dal ministero della Cultura.

In una lettera al ministero i tre che si sono dimessi hanno scritto che non era stato possibile fare una valutazione condivisa ed equilibrata dei teatri, e hanno definito pretestuose le ragioni con cui la maggioranza della commissione intende declassare il teatro della Pergola. Queste ragioni non sono chiare al momento: Repubblica Firenze scrive che la ragione ufficiale è che il progetto presentato dalla Fondazione per il prossimo triennio è stato giudicato carente. Pare che inizialmente la commissione fosse orientata soltanto a dare un punteggio inferiore alla Fondazione, ma poi la maggioranza ha deciso di togliere lo status di teatro nazionale. A quel punto Pastore, Cassani e Grassi hanno deciso di dissociarsi.

La sindaca di Firenze Sara Funaro, del Partito Democratico, ha già detto che farà ricorso contro il decreto di declassamento del teatro toscano, se verrà effettivamente firmato. La segretaria del PD, Elly Schlein, ha già detto che le darà il suo appoggio. Il presidente della Toscana, Eugenio Giani, anche lui del PD, ha parlato di «impostazione ideologica» rispetto alla decisione della commissione consultiva per il teatro.

In Italia i teatri nazionali sono sette (quelli che fanno capo alle fondazioni e ai teatri stabili di Torino, Emilia-Romagna, Napoli, Genova, Roma, Toscana e il Veneto) e sono quelli che si ritiene svolgano attività di prestigio nazionale e internazionale. Accedono ai finanziamenti del ministero della Cultura attraverso il Fondo nazionale per lo spettacolo dal vivo (Fnsv), cioè il principale sostegno finanziario erogato per cinema, teatro, musica, lirica, danza e circo.

A gennaio tutti i teatri finanziati devono di solito preparare una rendicontazione sull’anno appena concluso, nonché una previsione su quello in corso per tutti gli enti da cui hanno ricevuto i fondi. Ogni tre anni la commissione valuta i teatri in base a diversi parametri e assegna dei punteggi: il risultato finale definisce in modo più o meno proporzionale la parte dei finanziamenti statali a cui si avrà accesso. Secondo il Corriere Fiorentino La Pergola avrebbe perso circa 20 venti punti rispetto alla valutazione del triennio precedente.

Al di là della questione dei punteggi e delle valutazioni, i giornali locali riconducono però tutta questa vicenda a una serie di litigi politici iniziati mesi fa. Tutto è cominciato a gennaio quando la sindaca Funaro, che è anche presidente della Fondazione, ha nominato direttore artistico del teatro della Toscana lo scrittore e drammaturgo italiano Stefano Massini. Massini ha un’importante carriera internazionale alle spalle e ha vinto numerosi premi, tra cui nel 2022 il Tony Award, il più importante premio americano per il teatro, con The Lehman Trilogy. La nomina di Massini però non era piaciuta al ministero della Cultura, e in particolare al sottosegretario Gianmarco Mazzi di Fratelli d’Italia, come ha ricostruito Domani.

Ben Power e Stefano Massini (a sinistra) ricevono il Tony Award a New York, 12 giugno 2022, (Charles Sykes/Invision/AP/LaPresse)

A fine aprile le cose tra comune e governo erano peggiorate, quando il consiglio di amministrazione della Fondazione Teatro della Toscana aveva fatto sapere che Marco Giorgetti non sarebbe più stato il direttore generale, un ruolo che aveva da dieci anni. Giorgetti, che è dentro la Fondazione da oltre vent’anni, era invece molto apprezzato dal centrodestra, anche a livello nazionale: lo stesso ministro della Cultura, Alessandro Giuli, aveva quindi manifestato in più occasioni la sua contrarietà alla scelta della Fondazione, ribadendo che Giorgetti doveva mantenere l’incarico. Il suo contratto però è stato sciolto a maggio. Anche in questo caso le ragioni non sono chiarissime: c’entrerebbe una questione legata alla gestione del budget, ma è possibile che ci fossero anche dissidi legati a visioni differenti sul teatro di Giorgetti e Massini.

Massini si è detto «schifato» dalla situazione, definendola «una pagina gravissima, senza precedenti nella storia del teatro italiano» e un attacco personale nei suoi confronti. Fratelli d’Italia, invece, ha dato da una parte la colpa alle «scelte irresponsabili» di Funaro e dall’altra ha ribadito che un eventuale declassamento è dovuto solo a criteri tecnici, e non politici.

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