Come si fa una bomba atomica
Tutta la complicatissima serie di passaggi per realizzarla, dall'uranio al missile per trasportarla, spiegata bene
di Emanuele Menietti

I bombardamenti sull’Iran da parte di Israele hanno portato nuova attenzione sul programma nucleare iraniano e sulla possibilità che porti alla produzione di bombe nucleari. Il governo israeliano l’ha definita una «minaccia esistenziale», mentre il regime iraniano sostiene da decenni di voler sviluppare tecnologie nucleari per scopi civili e non per dotarsi di armi atomiche. Come dimostrano le versioni contrastanti delle intelligence di vari paesi, capire se un paese stia effettivamente sviluppando un’arma nucleare è quasi difficile quanto costruirne una.
Solo nove nazioni possiedono armi nucleari (Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia, Cina, India, Pakistan, Israele e Corea del Nord), con storie molto diverse nel modo in cui sono riuscite a svilupparle. Costruire una bomba atomica è infatti un processo estremamente complesso, che non solo richiede conoscenze avanzate nei campi della fisica, della chimica e dell’ingegneria, ma anche l’accesso a materiali altamente controllati. Israele, India, Pakistan e Corea del Nord non aderiscono al Trattato di non proliferazione nucleare (TNP), che esiste da oltre 50 anni con lo scopo di ridurre la diffusione delle armi nucleari attraverso rigide regole su cosa si può e non si può fare con le tecnologie nucleari e le materie prime per svilupparle.
Fissione e fusione
Di base una bomba atomica sfrutta la reazione di fissione nucleare facendo dividere i nuclei di atomi pesanti come gli isotopi uranio-235 (U-235) o plutonio-239 (Pu-239). Un neutrone colpisce un nucleo e lo fa dividere, rilasciando energia e altri neutroni che a loro volta colpiscono altri nuclei, amplificando la reazione in modo esponenziale. Il processo porta alla produzione di un’enorme energia termica: se viene controllata può essere usata nelle centrali atomiche per scopi civili, altrimenti nelle armi per scopi militari. La fissione può anche essere sfruttata per innescare la fusione, il processo opposto, e ottenere armi termonucleari (la “bomba H”) ancora più difficili da sviluppare e produrre.
Uranio
L’ingrediente di partenza per una bomba nucleare è l’uranio, un minerale che si può trovare a scarsa o grande profondità nel suolo a seconda dei giacimenti. Per estrarlo si utilizzano varie tecniche, dalle più semplici con lo scavo a cielo aperto per i giacimenti meno profondi agli scavi in profondità o con sistemi per dissolvere chimicamente il minerale e pomparlo poi in superficie. L’uranio non è raro, ma pochi paesi – come Canada, Kazakistan e Australia – lo estraggono in grandi quantità e in modo economicamente sostenibile. L’Iran ha risorse di uranio modeste, ma si ritiene siano sufficienti sia per i suoi scopi civili sia per quelli militari.

Yellowcake (Wikimedia)
Il minerale che viene estratto è di solito poco concentrato, contiene meno dell’1 per cento di uranio naturale e deve essere quindi macinato e trattato con sostanze chimiche, per produrre la yellowcake (letteralmente “torta gialla” per via del suo aspetto giallastro). L’uranio naturale è composto per il 99,3 per cento circa dall’isotopo U-238 e per lo 0,7 per cento da U-235. È sempre uranio, ma tra i due c’è una lieve differenza: gli isotopi sono infatti atomi dello stesso elemento (hanno lo stesso numero di protoni), ma hanno quantità diverse di neutroni e quindi masse lievemente diverse. Per produrre una bomba occorre una concentrazione di U-235 al 90 per cento, ottenendo quello che viene definito “uranio arricchito”.
Arricchimento
L’arricchimento dell’uranio viene quindi praticato per separare l’U-235 dall’U-238, ma farlo non è semplice perché come abbiamo visto i due isotopi hanno proprietà chimiche identiche, cambia solo la massa. Una tecnica consiste nel convertire l’uranio in un gas e nel farlo poi passare attraverso migliaia di membrane porose: l’U-235 essendo più leggero si diffonde un poco più velocemente dell’U-238 e attraverso migliaia di stadi di separazione si possono isolare i due isotopi raggiungendo la concentrazione di U-235 desiderata. Fu il metodo usato ai tempi del Progetto Manhattan per lo sviluppo della prima bomba atomica da parte degli Stati Uniti, ma oggi viene di solito preferita la tecnica della centrifugazione, altrettanto difficile, ma un poco più pratica da svolgere.

Centrifughe organizzate “a cascata” per l’arricchimento dell’uranio (Wikimedia)
L’uranio sempre in forma gassosa viene fatto passare attraverso delle centrifughe, cioè dei tubi che ruotano a velocità elevatissime, fino a 100mila giri al minuto. Un po’ come avviene coi vestiti quando si fa una centrifuga con la lavatrice, gli isotopi si separano: l’U-238 che è più pesante si concentra verso l’esterno del tubo, mentre l’U-235 verso il centro. Attraverso migliaia di passaggi in altrettante centrifughe collegate “a cascata”, si ottiene U-235 sempre più concentrato fino ad arrivare al 90 per cento per il suo impiego militare.
È per questo motivo che nei suoi primi bombardamenti Israele ha preso di mira i siti iraniani che utilizzano migliaia di centrifughe, come quello di Natanz, nel nord del paese, dove si ritiene che l’Iran avesse superato l’80 per cento in alcuni test (per arrivare al 60 per cento occorrono mesi, mentre da lì al 90 per cento sono sufficienti settimane, perché la maggior parte del lavoro di separazione è già stata fatta). Ed è anche per questo che vorrebbe un aiuto dagli Stati Uniti, che dispongono di bombe più potenti per provare a raggiungere le centrifughe in un altro sito, quello di Fordo, costruito sotto una montagna.
Israele ha anche bombardato i siti iraniani dove vengono prodotte le centrifughe con strumenti di altissima precisione. Girando così velocemente, hanno infatti bisogno di motori efficienti e calibrati correttamente per ridurre il più possibile le vibrazioni, che potrebbero compromettere il buon funzionamento della centrifuga e le attività di arricchimento dell’uranio.
Arricchito l’uranio a sufficienza per uso militare, si può procedere con la costruzione della bomba e se ne possono fare principalmente di due tipi: a cannone o a implosione.
A cannone
Come suggerisce il nome, il primo modello consiste nel costruire all’interno della bomba una sorta di canna di cannone che, tramite una carica esplosiva, spara un proiettile cilindrico e cavo di U-235 verso un cilindro pieno di U-235 all’altra estremità della canna. L’impatto porta la massa di U-235 a essere “supercritica”, cioè tale da rendere molto più probabile che si inneschi una reazione a catena, perché i neutroni colpiranno più facilmente altri nuclei atomici per farli dividere. Mentre avviene questo passaggio a massa supercritica, un dispositivo (iniziatore neutronico) emette un breve impulso di neutroni per avviare la reazione a catena. Avviene tutto in poche frazioni di secondo e il risultato è l’esplosione atomica.

Schema di una bomba atomica “a cannone” (Wikimedia)
Una bomba di questo tipo fu sganciata dagli Stati Uniti su Hiroshima, in Giappone, alla fine della Seconda guerra mondiale. Ebbe conseguenze catastrofiche, causando migliaia di morti e contaminazioni, con lutti che segnarono intere generazioni, ma già all’epoca il sistema a cannone era considerato poco efficiente: richiede decine di chilogrammi di U-235, ma meno del 2 per cento dà poi veramente luogo alla reazione nucleare.
A implosione
Il modello a implosione è più efficiente e per questo viene impiegato nella maggior parte delle attuali armi nucleari. Invece di usare due masse di materiale che si scontrano, si utilizza un’unica massa sferica (nocciolo) intorno alla quale si costruisce un guscio di esplosivo convenzionale, racchiuso da un successivo guscio di metallo (di solito acciaio o alluminio) per contenere il tutto.

Rappresentazione schematica di una bomba nucleare a implosione (Wikimedia)
L’esplosione del guscio produce una fortissima onda d’urto che comprime il nocciolo facendo aumentare enormemente la densità del materiale. Allo stesso tempo un iniziatore neutronico emette brevemente neutroni, che danno il via alla reazione a catena di fissione. L’energia prodotta in pochi istanti è enorme, con un’onda d’urto che distrugge il guscio esterno della bomba e produce devastazioni su un’ampia porzione di territorio; una bomba di questo tipo fu utilizzata sempre dagli Stati Uniti sulla città giapponese di Nagasaki, alla fine della Seconda guerra mondiale.
Il design a implosione consente di sfruttare meglio il materiale fissile e, a parità di massa e di dimensioni, di avere bombe molto più potenti di quelle a cannone, più rudimentali. È però un sistema più sofisticato e richiede grande precisione nella costruzione, soprattutto del guscio contenente l’esplosivo. Le sue varie componenti, le “lenti esplosive” (chiamate così per via della loro forma che ricorda una lente), devono essere orientate nel modo corretto per garantire che l’onda d’urto dell’esplosivo raggiunga il nucleo interno della bomba in modo simmetrico. Se la compressione non è omogenea, il nucleo non viene sollecitato a sufficienza per raggiungere la massa supercritica.
E il plutonio?
Le bombe nucleari a implosione sono di solito costruite utilizzando non l’uranio, ma il plutonio, perché la sua resa è più alta. L’isotopo utilizzato è il plutonio-239 (Pu-239) che non si trova in natura e deve essere prodotto artificialmente, utilizzando un reattore nucleare. Si parte dall’U-238 o da uranio leggermente arricchito, che all’interno del reattore assorbe neutroni trasformandosi in U-239 che decade rapidamente fino a diventare Pu-239.
È un processo che riguarda appena l’1 per cento del materiale utilizzato ed è necessario separarlo chimicamente da altri isotopi, in impianti di riprocessamento. Il Pu-239 deve essere inoltre estratto dal reattore dopo poche settimane, cosa non banale e pericolosa, perché altrimenti continuerebbe ad assorbire neutroni diventando un’altra cosa. Per questo il plutonio dei reattori per uso civile, che rimane mesi o anni nei reattori per produrre energia, non è adatto per gli scopi militari.
La complessità del procedimento è uno dei motivi per cui è molto difficile produrre plutonio per fare una bomba senza essere scoperti. L’Iran non ha mai dichiarato di avere un impianto per la separazione del plutonio e per il suo riprocessamento, ma si è parlato spesso del suo impianto nucleare di Arak come di un potenziale sito per attività di questo tipo. La centrale è però tenuta sotto controllo dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) e nell’ambito dell’Accordo sul nucleare del 2015 l’Iran ha apportato diverse modifiche al sito per garantire che la struttura sia impiegata solo per scopi civili. Nella notte tra mercoledì e giovedì Israele ha bombardato il sito di Arak.

Il sito di Arak in Iran nel 2011 (AP Photo/ISNA, Hamid Foroutan)
Usare la bomba
Una bomba a implosione può essere costruita usando direttamente l’U-235 al posto del Pu-239, e secondo gli esperti è la strada più probabile che potrebbe seguire l’Iran se un giorno decidesse di sviluppare un proprio arsenale nucleare. L’U-235 ha lo svantaggio di avere una resa inferiore, quindi ne occorre di più per avere ordigni potenti a sufficienza e non troppo rudimentali. E questa potrebbe essere un’ulteriore difficoltà per il passaggio finale: rendere trasportabile e utilizzabile la bomba.
La miniaturizzazione è una parte essenziale dello sviluppo di una bomba nucleare. L’obiettivo è di avere un dispositivo che sia il più piccolo possibile e al tempo stesso molto potente, in modo da poterlo lanciare verso obiettivi anche a grande distanza. Le armi nucleari più moderne sono estremamente potenti e usano l’energia prodotta dalla fissione per innescare la fusione nucleare, lo stesso processo che avviene nel Sole. L’Iran non dispone di queste armi termonucleari e dovrebbe quindi sviluppare una bomba a implosione classica, simile a quella di Nagasaki (per quanto più elaborata e con componenti più moderni) e costruita con l’uranio.
Una volta costruita e miniaturizzata, la bomba viene montata sulla sommità di un razzo balistico avanzato, un missile progettato per superare l’atmosfera terrestre e ricadere al suolo seguendo una grande parabola. L’Iran ha missili balistici con una gittata tra i 1.000 e i 2.000 chilometri, teoricamente potenti a sufficienza per trasportare una testata nucleare. A oggi non ci sono però prove convincenti sul fatto che abbia sviluppato i sistemi necessari per integrare un’arma nucleare su uno dei propri missili. Dovrebbero essere inoltre effettuati prima dei test per verificare il funzionamento della bomba, per esempio realizzando detonazioni nel sottosuolo.
Difficilmente le attività di sviluppo e produzione di una bomba nucleare passano inosservate, sia per via dei controlli dell’AIEA sia per le attività di intelligence di molti paesi, che sorvegliano l’uso delle risorse e delle tecnologie atomiche. Impedire a un paese di costruire un proprio arsenale nucleare è comunque difficile, soprattutto dopo che ha acquisito le competenze per farlo e ha costruito un’industria che sostiene quei progetti. Si possono distruggere gli impianti, non le conoscenze per riprovarci.