Eddy Merckx, il ciclista più forte di tutti i tempi
Oggi compie 80 anni: un buon momento per capire come si è guadagnato questa fama, e il senso dei paragoni con Fausto Coppi e Tadej Pogačar
di Gabriele Gargantini

Il ciclismo ha un forte legame con i suoi luoghi, i suoi protagonisti e la sua storia. Anche grazie al fatto che le corse più importanti sono le stesse da oltre un secolo, è relativamente semplice avventurarsi in paragoni tra corridori di epoche diverse, e chiedersi chi sia il più forte di sempre. E sono ormai diversi decenni che la risposta è quasi sempre la stessa: Eddy Merckx.
Le cose cambiano un po’ quando si ragiona invece su chi sia stato il più grande, una categoria che idealmente dovrebbe considerare anche l’impatto culturale e la rilevanza storica dei ciclisti e di certe loro vittorie, oltre al computo complessivo delle vittorie: di solito in quei casi si nomina spesso anche il ciclista italiano Fausto Coppi, e ultimamente qualcuno ha iniziato a citare lo sloveno Tadej Pogačar. Ma ci sono pochi dubbi sul fatto che Merckx, che oggi compie ottant’anni, sia stato il più forte. Di certo è stato il più vincente.
Édouard Louis Joseph Merckx è nato a Meensel-Kiezegem, nella regione belga delle Fiandre, il 17 giugno 1945, ed è cresciuto vicino a Bruxelles. Dopo aver usato la bicicletta per consegnare i prodotti del negozio alimentare del padre, da adolescente iniziò a usarla per gareggiare. A 16 anni vinse la prima gara, a 19 partecipò alle Olimpiadi di Tokyo del 1964 (al tempo riservate agli amatori) e poco prima di compiere vent’anni divenne professionista, per poi ritirarsi nei primi mesi del 1978, a 33 anni.
In uno sport come il ciclismo, dove anche i più forti non vincono la maggior parte delle gare a cui partecipano, Merckx ha vinto di tutto, e più volte. Ha vinto tutte le più importanti corse a tappe (Giro d’Italia, Tour de France e Vuelta a España), e ognuna delle cinque “classiche monumento” (le cinque più importanti corse di un giorno, che sono ancora oggi le stesse, spesso con percorsi molto simili). Pochissimi corridori hanno vinto tutte e cinque le classiche monumento e pochissimi corridori hanno vinto Giro, Tour e Vuelta. Nessuno, a parte Merckx, ha vinto sia le cinque classiche monumento che le tre corse a tappe.
Merckx ha vinto più di 500 volte. Cinque Tour de France, cinque Giri d’Italia, sette Milano-Sanremo, cinque Liegi-Bastogne-Liegi, tre Parigi-Roubaix, due Giri delle Fiandre, due Giri di Lombardia, una Vuelta a España (l’unica a cui ha partecipato). Ha vinto decine di tappe al Giro e al Tour, indossato per 77 giorni la maglia rosa (quella indossata in ogni tappa dal ciclista al primo posto in classifica al Giro) e per oltre 90 la maglia gialla (che funziona allo stesso modo, ma al Tour). Merckx ha vinto tre volte il Mondiale e – tra tante vittorie alle competizioni nei velodromi note come “sei giorni” – fece un nuovo record dell’ora che fu battuto solo 12 anni dopo, e con una bicicletta ben più evoluta.
Merckx ha fatto tutto questo concentrando la maggior parte delle sue vittorie più importanti tra la fine degli anni Sessanta e la prima metà dei Settanta. Ha vinto tutti i suoi cinque Giri d’Italia tra il 1968 e il 1974, tutti e cinque i suoi Tour dal 1969 al 1974. Il primo, alla sua prima partecipazione, il 22 luglio, poche ore dopo che Neil Armstrong era diventato il primo essere umano a mettere piede sulla Luna.
Per tre volte ha vinto nello stesso anno Giro e Tour, ed è stato il primo di sempre a vincere, sempre in uno stesso anno, Giro, Tour e Mondiale, indossando quindi nello stesso anno le tre maglie più ambite del ciclismo.
Tutto questo dopo che già nel 1969, a inizio carriera, aveva avuto una brutta caduta nel velodromo di Blois, in Francia, in un incidente in cui morì la persona che davanti a lui guidava il derny (una sorta di motorino dietro il quale si sta durante certe gare, per sfruttarne la scia). Merckx ebbe problemi a schiena e bacino. In una recente intervista al Corriere della Sera ha detto: «In salita non sono mai più andato forte come prima della caduta di Blois».
Merckx ha detto che il suo luogo preferito del ciclismo è il Poggio di Sanremo, dove nel 1966 vinse la prima delle sue 19 classiche monumento. Sempre secondo lui, il luogo in cui fece la sua migliore prestazione di sempre è la strada verso le Tre Cime di Lavaredo, dove nel 1968 vinse in solitaria sotto la neve. La peggior fatica in bicicletta ha raccontato di averla fatta nei minuti finali in cui stabilì il nuovo record dell’ora pedalando per 49 chilometri e 432 metri. Il suo più grande rimpianto è la sconfitta ai Mondiali di Barcellona del 1973, vinti da Felice Gimondi.
Nella stessa intervista al Corriere della Sera, Merckx ha definito Gimondi «l’avversario della vita». L’avversario da cui subì il distacco più rilevante, nel Tour del 1971, fu lo spagnolo Luis Ocaña. L’avversario che a quanto pare ebbe più volte la meglio su di lui fu però il connazionale Walter Godefroot, vincitore di tre classiche monumento a fine anni Sessanta. Pare infatti che Merckx presentò Godefroot a suo nipote come «il corridore che mi ha battuto più spesso».

Il ciclista italiano Felice Gimondi dopo aver vinto il Giro d’Italia nel 1967 (FARABOLAFOTO/ANSA)
Una corsa che Merckx non ha mai vinto è la Parigi-Tours, l’unico importante risultato che gli manca è una medaglia olimpica (dopo Tokyo 1964, cui partecipò da adolescente, ci riprovò solo un’altra volta).
Di Merckx si ricorda anche la squalifica per doping (di 30 giorni) a poche tappe dalla fine del Giro del 1969, che altrimenti avrebbe quasi di certo vinto. Sono famose le immagini di lui che piange nella sua camera d’albergo e, intervistato da Sergio Zavoli, dice di essere innocente. A parlare in televisione dell’accaduto andarono, tra gli altri, Enzo Biagi e Indro Montanelli. Il giorno successivo alla squalifica Gimondi – che da secondo era diventato primo – si rifiutò di indossare la maglia rosa.
A proposito del doping, intervistato nel 2011 dal New York Times Merckx disse: «ai miei tempi si prendevano prodotti per sentirsi meno stanchi, oggi si prendono prodotti per andare più forte». È impossibile dire se con gli standard attuali quel caso sarebbe considerato doping, ma è certo molto difficile sostenere che Merckx avesse fatto qualcosa di diverso da molti altri.
Allo stesso modo è difficile poter spiegare cosa di preciso, a livello fisico o mentale, abbia reso Merckx tanto più forte di tutti gli altri. Nel libro Eddy Merckx: The Cannibal il giornalista Daniel Friebe ha scritto che Merckx era di certo un grande atleta, ma senza nulla di davvero straordinario a livello fisiologico. L’aspetto più peculiare, non sufficiente però a spiegare la sua eccezionalità, era «l’imperfezione morfologica rappresentata da femori spropositatamente lunghi» e quindi più efficaci nel trasmettere potenza ai pedali. In molti casi quando si cerca di circoscrivere l’eccezionalità di Merckx si finisce a parlare della sua smisurata ambizione, della sua famelica necessità di vincere sempre e comunque. Arriva da qui il suo noto soprannome – il Cannibale – che si racconta gli fu dato dalla figlia di un suo compagno di squadra, stupita dal fatto che vincesse sempre lui.
In conclusione al libro Merckx: Half Man, Half Bike il giornalista William Fotheringham scrive che l’eccezionalità di Merckx sta nel fatto che «la sua mente si trovò a esistere in un corpo che poteva sostenere le ambizioni di quella mente». Si racconta che il corridore francese Jacques Anquetil, dovendo descrivere le caratteristiche del ciclista ideale e potendo sceglierne una da ogni ciclista, disse: «Le gambe di Merckx, la testa di Merckx, i muscoli di Merckx, il cuore di Merckx e la voglia di vincere di Merckx».

Eddy Merckx durante il Tour de France del 1977 (Graham Watson/Getty Images)
Come scrive Fotheringham, oltre che per quantità e qualità delle sue vittorie, Merckx è stato dirompente anche per come le ottenne. «Cambiò gli standard con cui si giudica il ciclismo, mise un’asticella altissima. Corse in un modo nuovo, sempre all’attacco, in ogni gara […]. Ogni vittoria di Merckx era parte di un caleidoscopio di dominio di un’intera stagione, ogni stagione di Merckx era parte di sette anni di supremazia su un intero sport».
È anche per questo che Merckx fu paragonato a Coppi, che nei decenni precedenti (fu vincente soprattutto tra gli anni Quaranta e i primi Cinquanta) aveva avuto un impatto simile sul ciclismo. In genere si cerca di risolvere la questione relativa alle differenti epoche in cui i due si trovarono a gareggiare con la frase «Coppi il più grande, Merckx il più forte» (l’attribuzione originaria è dubbia, ma è stata pronunciata molte volte). Merckx, da parte sua, disse al giornalista Pier Augusto Stagi: «Le vittorie di Coppi sono diventate romanzo, le mie cronaca».
Ancor più improprio è, per ora, ogni paragone con Pogačar, che ha solo 26 anni. A settembre del 2024 Merckx aveva detto in un’intervista all’Équipe che Pogačar – che dopo Giro e Tour aveva vinto pure il Mondiale, dopo una lunga fuga – lo aveva ormai superato. Qualche mese dopo ha un po’ ritrattato (sorridendo, secondo l’intervistatore): «Ha vinto solo tre Tour, ha molta strada da fare per essere migliore di Eddy Merckx».