Cos’è la “marcia verso Gaza” per cui centinaia di persone sono state arrestate in Egitto
Migliaia di manifestanti dovrebbero partire dal Cairo e raggiungere il confine con la Striscia di Gaza, ma non è detto ci riusciranno

Negli ultimi giorni la polizia del Cairo, la capitale dell’Egitto, ha arrestato oltre 200 persone che erano arrivate in città da vari paesi per partecipare alla cosiddetta “Global March to Gaza”, una grossa manifestazione organizzata per protestare contro l’invasione israeliana della Striscia di Gaza e il modo in cui Israele controlla e blocca l’ingresso e la distribuzione di cibo, medicinali e altri beni di prima necessità nel territorio, usando anche la fame come arma contro gli abitanti palestinesi. La manifestazione dovrebbe svolgersi domenica 15 giugno vicino al varco di Rafah, sul confine tra la Striscia e l’Egitto, ma per come stanno andando le cose non è detto che succederà.
Tra le persone arrestate ci sono cittadini statunitensi, olandesi, australiani, francesi, spagnoli, marocchini e algerini. Complessivamente sono una piccola parte delle persone che in teoria dovrebbero partecipare alla manifestazione, che secondo gli organizzatori sarebbero circa 4mila provenienti da oltre 40 paesi. Non è chiaro quante di queste siano effettivamente in Egitto: gli organizzatori hanno detto che giovedì nel paese c’erano «migliaia» di persone, senza dare altri dettagli.
La scelta del varco di Rafah come luogo per la protesta ha un significato simbolico: è uno dei pochi punti di ingresso nella Striscia per cibo e altri beni essenziali, e come tutti gli altri è controllato da Israele. Nella città di Rafah (nel sud della Striscia) c’è anche un punto di distribuzione del cibo della Gaza Humanitarian Foundation (Ghf), l’organizzazione creata da Israele per controllare la distribuzione di cibo a Gaza e usare la fame come arma contro la popolazione.

Attivisti riuniti per sostenere la “marcia verso Gaza” al Cairo, il 12 giugno 2025 (Ahmad Hasaballah/Getty Images)
Delle oltre 200 persone arrestate giovedì alcune sono state fermate e interrogate subito dopo il loro arrivo all’aeroporto del Cairo, altre sono state rintracciate nei vari alberghi della città in cui alloggiavano. Dopo l’interrogatorio molti manifestanti sono stati rilasciati, altri sono stati espulsi: secondo gli organizzatori della protesta decine di persone sarebbero state imbarcate su un volo per Istanbul, in Turchia.
Venerdì alcune delle persone che si trovavano al Cairo hanno iniziato a dirigersi verso Rafah, ma è improbabile che riescano a raggiungerla e a manifestare. In base al programma, i manifestanti sarebbero dovuti partire in pullman il 13 giugno per raggiungere la città di al Arish. Da lì dovrebbero marciare per 48 chilometri, arrivare a Rafah il 15 giugno, campeggiare nella zona e poi tornare al Cairo il 19. Rafah si trova nella penisola del Sinai, un’area molto controllata: l’Egitto non ha dato ai manifestanti i permessi per andarci, di fatto non autorizzando la manifestazione.
Tramite interviste e post sui social, molti manifestanti stanno condividendo aggiornamenti sulla situazione: alcune persone sono ancora al Cairo e hanno detto di essere strettamente sorvegliate dalla polizia egiziana e di non potersi allontanare dalla città; altre sono riuscite a lasciare Il Cairo ma sono state fermate dalla polizia che ha ritirato loro i passaporti e impedito di proseguire. Sempre venerdì, alcune persone hanno detto di essere ferme a un checkpoint tra Il Cairo e Ismailia, città egiziana a circa 120 chilometri dal Cairo in direzione di Rafah.
Nella notte tra venerdì e sabato la delegazione italiana che sta partecipando alla marcia ha fatto sapere di non essere intenzionata a lasciare Il Cairo, per mantenere il più possibile la manifestazione pacifica, come nei suoi intenti iniziali. La delegazione ha detto che la parte di manifestanti che si è diretta verso Ismailia lo ha fatto in assenza di un piano condiviso, senza aver dialogato con le autorità egiziane e che al momento sta «subendo violenze e deportazioni» da parte delle forze dell’ordine.
Gli organizzatori della protesta hanno detto esplicitamente di voler andare a Rafah per chiedere l’apertura del varco e quindi il libero ingresso dei beni essenziali nella Striscia. Mercoledì il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha detto di aspettarsi che il governo egiziano impedisca l’arrivo dei manifestanti al confine con la Striscia.