Il disco “maledetto” di Brian Wilson

"Smile”, a cui lavorò per più di trent'anni con un certo tormento

Brian Wilson nel 1966, a Los Angeles (Michael Ochs Archives/Getty Images)
Brian Wilson nel 1966, a Los Angeles (Michael Ochs Archives/Getty Images)
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Nel 1966 Brian Wilson, il cantante e fondatore dei Beach Boys morto mercoledì a 82 anni, cominciò a lavorare a un disco sperimentale e molto ambizioso: nelle sue intenzioni avrebbe dovuto essere una specie di continuazione di Pet Sounds, l’undicesimo album del gruppo, uscito nel maggio di quell’anno e accolto molto favorevolmente dalla critica per la sua complessità armonica, l’uso innovativo delle tecniche di registrazione e singoli di successo come “Wouldn’t It Be Nice” e “God Only Knows” .

Quel disco, che avrebbe dovuto intitolarsi Smile, alla fine uscì quasi quarant’anni dopo, lasciando fantasticare fan e critici musicali sul potenziale inespresso di un possibile capolavoro incompiuto e passaggio fondamentale per l’evoluzione di Wilson e dei Beach Boys della seconda metà degli anni Sessanta, un periodo in cui erano riusciti a rivaleggiare con i Beatles per creatività, influenza e presenza nell’immaginario collettivo.

Smile sarebbe dovuto uscire nel 1967. Alla fine però al suo posto ne fu pubblicato un altro: Smiley Smile, un album che negli anni successivi sarebbe stato spesso descritto come un disco incompleto. I Beach Boys furono infatti costretti a farlo uscire per rispettare gli obblighi contrattuali con la Capitol Records, la loro casa discografica del tempo. Molte delle canzoni però vennero registrate in fretta e in versioni molto lontane dalle intenzioni originarie di Wilson, che riuscì a pubblicare Smile nella sua versione definitiva soltanto nel 2004.

Quando i Beach Boys cominciarono a lavorare a Smile, Wilson aveva già il controllo creativo del gruppo: coordinava le sessioni di registrazione con una grande maniacalità, si occupava di scrivere i testi, curava gli arrangiamenti e supervisionava ogni fase della produzione. Era riuscito anche a ottenere una certa libertà creativa dalla Capitol Records: già da prima di Pet Sounds aveva cominciato a occuparsi della produzione dei dischi dei Beach Boys in modo autonomo, abbandonando le strutture messe a disposizione dalla casa discografica per frequentare gli studi indipendenti più moderni di Los Angeles, come Western Recorders, Goldstar e Sunset Sound.

Brian Wilson nel 1966 (Michael Ochs Archives/Getty Images)

Gli arrangiamenti che aveva in mente erano talmente complessi e strutturati che spesso gli altri membri del gruppo facevano fatica a seguirlo. Per questo motivo Wilson decise di affidarsi sempre più spesso ai Wrecking Crew, un gruppo composto da alcuni tra i musicisti più richiesti di Los Angeles e che collaborava frequentemente col leggendario produttore discografico Phil Spector. Nelle sessioni di registrazione, il contributo degli altri membri dei Beach Boys era ormai diventato quasi del tutto circoscritto alle parti vocali.

Per realizzare Smile, Wilson adottò un metodo che aveva in parte sperimentato già nei dischi precedenti, e in particolare in Pet Sounds, fondato su ciò che lui stesso definiva modular recording (registrazione modulare): semplificando, registrava brevi parti musicali che poi venivano assemblate in fase di produzione, un po’ come se si trattasse di un collage.

Wilson decise di sperimentare anche sui testi, che vennero affidati al paroliere Van Dyke Parks. Insieme, Wilson e Parks cercarono di costruire un disco che fosse più di una semplice raccolta di canzoni, inserendo vari riferimenti agli interessi che avevano in comune, come la cultura degli indiani d’America, la spiritualità, la celebrazione degli elementi della natura e la nostalgia dell’infanzia. Canzoni come “Heroes and Villains”, “Surf’s Up”, “Cabin Essence” e “Wonderful”, che finirono anche in Smiley Smile ma in una versione lontana dalle intenzioni originarie, esprimono bene questa varietà di temi e atmosfere. Per dare un’idea del progetto che aveva in mente, Wilson ha spesso descritto Smile come «una sinfonia adolescenziale a Dio».

I Beach Boys nel 1964 (Gems/Redferns/Getty Images)

Il disco si rivelò presto difficile da completare. Le tensioni interne al gruppo si fecero evidenti: alcuni membri, soprattutto Mike Love, manifestarono il proprio disaccordo verso i testi criptici di Parks e la direzione meno commerciale e sempre più psichedelica immaginata da Wilson. Allo stesso tempo, la Capitol Records cominciò a mostrarsi insofferente di fronte ai continui ritardi nella consegna del disco, e a temere che un disco così ambizioso, complesso e onirico non sarebbe stato apprezzato dal pubblico generalista.

La situazione si complicò ulteriormente per via del peggioramento della salute mentale di Wilson, che già in quel periodo attraversava una fase di forte vulnerabilità, aggravata anche dall’abuso di farmaci e sostanze come LSD e barbiturici. In quel periodo, alcune sue esigenze creative piuttosto bizzarre diventarono proverbiali nell’ambiente: secondo un aneddoto spesso citato, a un certo punto fece sistemare della sabbia intorno al pianoforte nella sala di casa, così da poterci affondare i piedi mentre suonava, convinto che gli avrebbe facilitato l’ispirazione.

Sempre più isolato dal resto del gruppo, Wilson faticava a concentrarsi sul progetto e tendeva ad accantonare o riscrivere continuamente il materiale già composto. Le sessioni di registrazione, iniziate con entusiasmo, si trascinarono per mesi con grande confusione: l’ambizione iniziale diventò uno stallo, e le numerose parti registrate da Wilson rimasero per lo più inutilizzate.

Nel maggio del 1967 Smile venne ufficialmente accantonato, e l’uscita frettolosa e improvvisa di Smiley Smile fu accolta piuttosto tiepidamente dalla critica, che lo descrisse come un album lacunoso e non comparabile a Pet Sounds. Peraltro, nello stesso periodo i Beatles pubblicarono Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, un disco che fu considerato fin da subito centrale per il pop di quegli anni. Wilson, che per mesi aveva lavorato a Smile con l’obiettivo di realizzare qualcosa di simile, visse quella coincidenza con amarezza.

Per oltre tre decenni, Smile rimase uno dei più celebri “album perduti” della storia della musica pop. Solo nel 2004, dopo un lungo processo di recupero e rielaborazione, Wilson ne completò una versione definitiva, ricostruendo la struttura dell’album insieme a Van Dyke Parks e pubblicandola con il titolo Brian Wilson Presents Smile. Wilson lo suonò dal vivo per la prima volta il 20 febbraio 2004, alla Royal Festival Hall di Londra. Fu un momento di grande commozione, conclusosi con un applauso finale durato più di dieci minuti. Alla fine del concerto, Parks fu invitato a salire sul palco: si mostrò visibilmente emozionato, con le lacrime agli occhi.

L’album ottenne recensioni molto positive: dopo l’uscita la rivista Pitchfork lo definì «un album grandioso, sebbene più spensierato di quanto il suo mito potrebbe suggerire». Nel 2011 i Beach Boys pubblicarono The Smile Sessions, una raccolta ufficiale dei nastri registrati tra il 1966 e il 1967, restaurati e assemblati secondo la struttura immaginata all’epoca da Wilson.

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