Cosa succede se passa il “Sì” al referendum per la cittadinanza

Come funzionano le regole attuali, cosa cambierebbe e quante persone sarebbero coinvolte (meno di quel che si dice, ma è complicato)

attiviste a favore del referendum sulla cittadinanza
(Simona Granati / Corbis via Getty Images)
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L’obiettivo del referendum sulla cittadinanza, uno dei cinque per cui si voterà domenica 8 e lunedì 9 giugno, è ridurre da 10 a 5 gli anni di residenza regolare necessari per poter chiedere la cittadinanza italiana. Riguarda quindi moltissime persone straniere che con la legge attuale devono aspettare 10 anni per poter chiedere di diventare italiane: poi per diventarlo effettivamente ce ne vuole quasi sempre qualcuno in più, a causa delle lente procedure burocratiche. Perché il referendum sia valido serve che vada a votare almeno la metà degli aventi diritto e per cambiare la legge serve che vinca il “Sì”. Quante sono le persone che attualmente potrebbero beneficiare di questa riforma? Calcolarlo con precisione è impossibile, ma qualche stima affidabile c’è.

Il quesito è stato proposto dal deputato Riccardo Magi del partito progressista +Europa, a cui poi si sono aggiunti diversi altri partiti e associazioni. È stato sostenuto da una massiccia mobilitazione online, con 637mila firme raccolte.

La proposta consiste nel modificare l’articolo 9 della legge 91 del 1992 con cui si è alzato il termine di soggiorno legale ininterrotto in Italia per poter presentare la domanda di cittadinanza. Il quesito non cambia gli altri requisiti come conoscere l’italiano, avere un reddito stabile e non avere commesso reati. La modifica avrebbe però effetti indiretti anche sui minori, che potrebbero ottenere la cittadinanza trasmessa da almeno un genitore neo italiano.

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L’attuale legge prevede 10 anni di attesa solo per gli stranieri originari di paesi fuori dall’Unione Europea. Per chi è cittadino di paesi dell’Unione Europea l’attesa è inferiore, 4 anni; è di 5 anni per le persone che hanno ottenuto lo status di rifugiato, di 3 anni per chi è sposato con una cittadina o un cittadino italiano e risiede all’estero, di 2 anni per chi è sposato con cittadini italiani e risiede in Italia. Chi ha figli da un cittadino o una cittadina italiana e vive all’estero può avere la cittadinanza dopo un anno e mezzo, mentre nella stessa situazione ma con residenza in Italia l’attesa è di un solo anno.

C’è poi la possibilità, modificata di recente, di fare domanda se si hanno avi italiani. I più penalizzati sono i minorenni stranieri, costretti ad aspettare fino al compimento della maggiore età (18 anni) per presentare la domanda, anche se nati in Italia.

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Chi è a favore del “Sì” sostiene che l’attesa di 10 anni sia eccessiva e crei discriminazioni per chi già da anni abita e lavora in Italia, oltre che per i figli. Chi è contrario sostiene invece che l’Italia conceda già un numero sufficiente di cittadinanze ogni anno.

La prima cosa da dire è che in caso di raggiungimento del quorum e vittoria del “Sì” nessuna persona straniera otterrebbe automaticamente la cittadinanza italiana: in qualsiasi caso le persone dovrebbero presentare domanda allo Stato. Sebbene la legge dica che deve essere data una risposta al massimo entro 24 mesi, spesso i tempi sono più lunghi: di solito le procedure durano circa tre anni.

Negli ultimi anni l’andamento delle acquisizioni di cittadinanza italiana non è stato costante, come si può osservare dal grafico. Secondo i dati più recenti diffusi dall’Istat, nel 2023 sono state date complessivamente 213.567 cittadinanze italiane a persone straniere.

Riccardo Magi ha detto che la riforma riguarderebbe 2,3 milioni di persone, secondo il segretario della Cgil Maurizio Landini sarebbero 2,5 milioni. In realtà i potenziali beneficiari sarebbero di meno, anche se non è possibile fare un calcolo preciso.

Una stima affidabile è stata realizzata da IDOS, un centro studi che si occupa di immigrazione. Il punto di partenza per quantificare la platea potenziale è capire quante persone hanno un permesso di soggiorno di lungo periodo, quello che può essere richiesto dalle persone straniere che hanno un permesso di soggiorno da almeno cinque anni. I dati dell’Istat dicono che nel 2023 il 59,3 per cento di tutti i permessi di soggiorno concessi dall’Italia era di lungo periodo, in totale 2 milioni e 139mila persone, di cui 347mila con meno di 18 anni.

Probabilmente le stime di politici e sindacalisti si basano su questo calcolo, a dire il vero un po’ grezzo perché dal totale va esclusa almeno un’altra categoria di persone. IDOS, per esempio, nel suo calcolo tiene in considerazione le persone provenienti dagli Stati – una cinquantina tra cui l’Ucraina, la Cina e l’India – che non riconoscono la doppia cittadinanza. In quel caso una persona straniera dovrebbe scegliere quale cittadinanza tenere.

Qui la stima si fa più complicata e incerta, perché è impossibile sapere con certezza come si comporteranno le persone. Considerati tutti gli Stati che non riconoscono la doppia cittadinanza, IDOS ha calcolato che la scelta spetterebbe a 509mila persone straniere, di cui 72mila minori. Di queste, IDOS ha stimato che solo il 15 per cento sceglierebbe di chiedere la cittadinanza italiana lasciando quella del paese di origine: questa percentuale è stata ricavata da un sondaggio fatto dall’Istat tra giovani cinesi che abitano in Italia, considerato da IDOS un campione rappresentativo per tutti gli stranieri.

Sottraendo i 433mila cittadini stranieri che manterrebbero la propria cittadinanza ai 2,1 milioni con un permesso di soggiorno di lungo periodo si ottiene la stima finale: secondo IDOS, insomma, la modifica della legge dopo un’eventuale vittoria del “Sì” al referendum coinvolgerebbe potenzialmente un milione e 706mila persone, di cui 286mila minori.

Esiste poi un altro requisito importante, cioè quello relativo al reddito: chi chiede la cittadinanza italiana deve dimostrare oggi di avere un reddito minimo lordo di 8.263 euro all’anno; invece nel 2023, anno a cui si riferiscono i dati, per avere un permesso di soggiorno di lungo periodo bastavano 6.542 euro (in entrambi i casi senza famigliari a carico).

IDOS ha provato a calcolare quante persone non potrebbero permettersi la cittadinanza italiana, sempre basandosi sui dati dell’Istat, secondo cui circa il 40 per cento degli stranieri vive a rischio di povertà o a rischio di esclusione sociale. Escludendo questa nuova platea di persone, i potenziali beneficiari della riforma sarebbero poco più di un milione, per la precisione un milione e 24mila persone, di cui 172mila minori. Si tratta della stima più al ribasso.

Un’altra stima che va fatta riguarda gli effetti sui minori attualmente considerati stranieri, a cui verrebbe trasmessa automaticamente da almeno un genitore neo italiano. Sempre basandosi su indagini dell’Istat, IDOS ha stimato che la riforma potrebbe coinvolgere indirettamente 55mila minori.

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