MUBI ora gioca nel campionato dei grandi
La piattaforma di streaming di film d'autore non è più soltanto una piattaforma di streaming di film d'autore

L’anno scorso la piattaforma di streaming MUBI comprò The Substance per 12 milioni di dollari. Il film con Margaret Qualley e Demi Moore aveva inizialmente un accordo di distribuzione con la Universal, che però una volta visto il film finito aveva deciso di disfarsene. Comprarlo fu una mossa ardita ma si rivelò una decisione azzeccata, perché il film incassò 77 milioni di dollari, diventando uno dei più discussi della stagione. Quell’intuizione, unita a 100 milioni di dollari di finanziamenti, ha posto le basi per trasformare quella che tutti conoscono come una piattaforma di film indipendenti e di nicchia in una società di distribuzione in grado di competere con le più grosse del settore in tanti paesi del mondo tra cui, da poco, anche l’Italia.
Oggi infatti la valutazione della società è di un miliardo di dollari. È cioè uno dei tre soggetti più grandi nel mondo del cinema d’autore insieme ad A24 e Neon. All’ultimo Festival di Cannes è stato il compratore maggiore: se si considerano solo i diritti di distribuzione nel Regno Unito e negli Stati Uniti, MUBI ha acquistato 10 film sui 21 in concorso al festival, più di tutti. Tra questi ci sono alcuni dei più discussi, come Sentimental Value, The History of Sound e il più prestigioso di tutti, Die, My Love di Lynne Ramsay con Jennifer Lawrence e Robert Pattinson. È stata l’acquisizione più costosa nella storia di MUBI, che l’ha pagato 24 milioni di dollari, il doppio di The Substance, per portarlo in sala in 14 dei principali territori mondiali, Italia inclusa. È stato il punto di arrivo di una strategia lunga.
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Nata come piattaforma di streaming nel 2007, dall’esigenza del suo fondatore e ancora oggi CEO, il turco Efe Cakarel, di vedere il film In the Mood for Love di Wong Kar-wai, in un’epoca in cui non esistevano servizi di streaming globali, MUBI è stata la prima vera grande piattaforma del genere. Netflix avrebbe cominciato a sperimentare lo streaming poco dopo, e in quel momento a farlo su internet c’era solo YouTube ma con video non più lunghi di dieci minuti.
Nel 2016, dieci anni e 100.000 abbonati dopo, essere solo una piattaforma per cinefili, per quanto curata e rispettata, era diventato un limite per la società, perché i film migliori li prendevano i rivali più grandi e ricchi. Così, per rimanere sul mercato in maniera realmente competitiva MUBI diventò anche un distributore tradizionale: cioè una società che si occupa di portare i film nelle sale cinematografiche e promuoverli. Partì dal Regno Unito per poi passare alla Germania, ai Paesi Bassi, all’America Latina e infine al difficile mercato statunitense.
Ieri MUBI ha annunciato l’apertura di una società di distribuzione anche in Italia, che è già uno dei territori europei più importanti per il suo servizio di streaming. Ha scelto come vicepresidente e managing director Gabriele D’Andrea, che ha lavorato per 13 anni in un’altra casa di distribuzione, Lucky Red, come direttore marketing e poi anche della distribuzione in sala, contribuendo a portarla a essere una delle società italiane più importanti per il cinema artistico, lo stesso che interessa a MUBI.
La rapida crescita che ha avuto non sarebbe stata possibile senza la pandemia. Come per le altre piattaforme, nel 2020 MUBI ha registrato un forte aumento degli abbonati, che ha fatto crescere del 60 per cento il suo volume d’affari e le ha consentito di fare piani più ambiziosi. Nel 2022 è diventata il distributore americano di Decision to Leave, l’ultimo film del regista di Oldboy Park Chan-wook, uno dei più rispettati e amati registi sudcoreani di cinema d’autore.
Sempre nel 2022 MUBI acquisì The Match Factory, uno dei più grandi venditori di cinema d’autore europeo, e quindi automaticamente uno dei più grandi del mondo. È un intermediario che prende i film appena finiti, o spesso ancora prima che vengano girati, e si occupa di venderli ai distributori dei vari paesi: tratta con i festival per la partecipazione, ha legami con le manifestazioni maggiori e non c’è anno in cui Cannes, Venezia o Berlino non abbiano film di The Match Factory. Acquisendola MUBI è diventata una società che può prendere i film appena finiti o ancora da produrre, li può portare ai festival, vendere ai distributori dei vari territori del mondo, in certi paesi distribuirli direttamente da sé, e poi ne possiede i diritti per lo streaming. Per esempio, a febbraio ha comprato i diritti di distribuzione del nuovo film di Paolo Sorrentino, La grazia, che avrebbe iniziato le riprese un mese dopo.
Come Netflix o Prime Video e prima di loro Universal, Warner o Disney, MUBI sta diventando una società capace di coprire tutte le fasi della filiera distributiva, tranne la produzione. In un certo senso.
Acquistare così tanti diritti di un film (quelli per la vendita internazionale, quelli per la sua distribuzione in sala e poi quelli per lo streaming) vuol dire dargli così tanti soldi da coprire una parte importante del budget, e quindi di fatto finanziarlo. E benché al momento MUBI non agisca da produttore unico, anche perché non è una società strutturata per fare il lavoro di produzione, in questo modo può essere coproduttrice e consentire che si facciano i film che vuole o che pensa siano buoni per i suoi clienti. Di fatto è entrata nel giro d’affari dei “contenuti originali”.
Significa potersi permettere di avere serie o film con il proprio marchio, di cui si possiedono tutti i diritti: sono i cosiddetti “original”, perché non si possono vedere da nessun’altra parte. È quello che per Disney+ sono le produzioni di Guerre stellari, per Netflix film come Don’t Look Up o per Prime Video la serie tv The Boys.
La campagna di The Substance dell’anno scorso, e il modo in cui è riuscito a diventare oggetto di discussioni fino ad arrivare agli Oscar (una premiazione a cui un film del genere di solito non arriva), ha dimostrato l’abilità di MUBI di tenere insieme la distribuzione nelle sale e in streaming. Per esempio negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Germania, con pochi euro in più al mese l’abbonamento alla piattaforma include un biglietto alla settimana per il cinema. Oltre a questo MUBI ha costruito sale cinematografiche a Los Angeles e Città del Messico e organizza un festival itinerante in 11 città del mondo (a dicembre è stato a Milano).
Stando a quanto dichiarato da Efe Cakarel a Variety, al momento l’obiettivo della società è distribuire 15 film all’anno, poco più di uno al mese, con un investimento per ciascuno tra i 5 e i 25 milioni di dollari. Che per gli standard della distribuzione è un impegno che dimostra un approccio prudente.