Antonio Conte ha fatto la sua solita cosa anche al Napoli
Di nuovo ha vinto lo Scudetto al primo anno, puntando su un'organizzazione marziale che consente ai calciatori di spingersi oltre le aspettative

Antonio Conte è forse il miglior allenatore di calcio al mondo a fare una cosa molto precisa: rendere immediatamente competitiva per vincere il campionato una squadra che l’anno precedente non lo era. L’estate scorsa è stato assunto dal Napoli che aveva appena avuto una stagione disastrosa, conclusa al decimo posto dopo aver cambiato tre allenatori. In un anno l’ha portato alla vittoria dello Scudetto, il quarto nella storia della squadra e il quinto per Conte, dopo i tre con la Juventus e quello con l’Inter: nessun allenatore aveva mai vinto la Serie A con tre squadre diverse prima di lui.
Era successo così anche in passato. Nel 2011 prese la Juventus dopo due settimi posti consecutivi e al primo anno vinse lo Scudetto senza perdere nemmeno una partita. Nel 2016 arrivò al Chelsea che era appena arrivato decimo e vinse il campionato inglese al primo tentativo. All’Inter, che non vinceva il campionato da dieci anni, ce ne mise due: secondo posto nel 2020, Scudetto nel 2021. Tutte le volte, Conte in poco tempo ha dato alle sue squadre grande organizzazione, basandosi su principi di gioco essenziali ed efficaci, a cominciare dall’eccezionale applicazione difensiva. Fin dallo scorso agosto aveva detto che il Napoli avrebbe dovuto subire molti meno gol rispetto alla stagione precedente, quando ne aveva incassati 48: quest’anno ne ha presi 27 in 38 partite.
Per stravolgere in poco tempo il modo in cui le sue squadre affrontano le partite, e riuscire a vincere subito, Conte sembra aver bisogno di creare un contesto piuttosto peculiare, per il quale all’esterno cerca in tutti i modi di togliere pressione alla squadra, mentre all’interno dà e pretende la massima intensità, convincendo i suoi giocatori di essere “in missione” contro tutto e tutti. «Conte l’ha fatto ancora. Ha vinto. Alla sua maniera. Entrando nella testa dei suoi giocatori e nel cuore dei suoi tifosi. Con una metodologia maniacale, fondata sulla cultura del lavoro, del sacrificio, della fame di vittoria», si legge il giorno dopo la vittoria sulla Gazzetta dello Sport in un articolo dai toni un po’ enfatici.

Antonio Conte festeggiato dai suoi giocatori dopo la vittoria dello Scudetto (Francesco Pecoraro/Getty Images)
Quando c’è Conte di mezzo, la storia si ripete in modo simile pur col cambiare dei contesti e dei periodi. Conte arriva e da subito dice in pubblico che la squadra non è abbastanza forte per competere; di solito, sempre in pubblico, si lamenta con i dirigenti del suo club che non gli comprano giocatori abbastanza forti (per farseli comprare, ma anche per motivare quelli che ha già). Se qualcuno gli chiede se punta alla vittoria dello Scudetto, si arrabbia. E va avanti così per un po’.
A febbraio, quando il Napoli era primo ed era trascorsa più di metà del campionato, Conte diceva che il club gli aveva chiesto solo di qualificarsi per le coppe europee e che questo poteva significare anche accontentarsi della Conference League (per la quale basta arrivare sesti). Alla fine di aprile aveva definito «un prodigio» un’eventuale vittoria dello Scudetto da parte del Napoli. Era una strategia comunicativa, evidentemente, perché in realtà Conte sin dal primo momento lavorava con la dirigenza e con la squadra con l’obiettivo di vincere il campionato.
Molti dei giocatori che sono stati allenati da Conte, per ultimo Cesc Fàbregas (che giocava nel suo Chelsea e adesso allena il Como), lo hanno definito «un martello», per il modo in cui lavora sull’unione e sulla mentalità della squadra, spingendo tutti a giocare sempre al massimo dell’intensità e della concentrazione. In campo, questo si traduce prima di tutto nella grande coesione: il Napoli ha fatto vedere spesso di saper difendere al meglio i vantaggi ottenuti, anche attraverso lunghi periodi di difesa quasi a oltranza, a cui partecipano tutti i calciatori in campo. Il Napoli che due anni fa vinse lo Scudetto con Spalletti era una squadra spettacolare, con una proposta di gioco offensiva e brillante; quello di Conte è stato meno appagante esteticamente, in diversi momenti ha vinto le partite con fatica, soprattutto nella seconda parte della stagione, ma in fin dei conti si è dimostrata la squadra più solida e organizzata del campionato.
Anche nella scelta dei giocatori con cui vuole lavorare, Conte è un allenatore particolare. Ha quasi sempre fatto giocare alle sue squadre una fase offensiva molto codificata e poco creativa, basata su movimenti ripetitivi e quasi sincronizzati: dai calciatori pretende applicazione, disciplina tattica e rispetto meticoloso dei compiti che gli vengono assegnati, e non ha quindi mai troppo impiegato o apprezzato i calciatori particolarmente estrosi, o comunque che non sono riusciti a mettere la loro creatività al servizio del sistema. Per questo motivo la cessione in gennaio dell’attaccante georgiano Khvicha Kvaratskhelia, il calciatore forse più talentuoso del Napoli e tra i protagonisti dello Scudetto del 2023, in fin dei conti non gli è dispiaciuta troppo.
I calciatori preferiti da Conte sono quelli come Matteo Politano e Leonardo Spinazzola, esterni affidabili in grado di contribuire a tutte le fasi di gioco e di dare equilibrio alla squadra, senza fare necessariamente giocate spettacolari e brillanti, oppure i due difensori centrali Amir Rrahmani e Alessandro Buongiorno, che quest’anno sono stati tra i migliori in Serie A. Ciò che però rende Conte una garanzia per le squadre che vogliono ricostruirsi in tempi brevi è la sua capacità di portare al massimo del rendimento praticamente tutti i giocatori. Per far fronte agli infortuni avuti in certi momenti dal titolare Buongiorno, hanno giocato come difensori centrali il 33enne Juan Jesus o il terzino uruguaiano Mathías Olivera, ed entrambi hanno offerto prestazioni piuttosto solide e convincenti, al di sopra delle aspettative.

Antonio Conte e Matteo Politano (Alessandro Garofalo/LaPresse)
Il miglior giocatore del Napoli quest’anno (anzi, dell’intero campionato, visto che è stato premiato come tale dalla Serie A) è stato il centrocampista scozzese Scott McTominay, a cui Conte ha dato grosse responsabilità nel gioco offensivo del Napoli, riuscendo a fargli giocare la miglior stagione della sua carriera. Nelle 178 partite giocate con il Manchester United nel campionato inglese, McTominay aveva segnato 19 gol in tutto; in Serie A ne ha segnati 12 in 34 partite, otto dei quali quando il punteggio era sullo 0-0, compresa la spettacolare semi rovesciata che ha sbloccato l’ultima di campionato contro il Cagliari.
«Conte sa entrarti nella testa. Posso dire tranquillamente che lo consideriamo il nostro condottiero e noi siamo i suoi soldati», ha detto di recente il portiere del Napoli Alex Meret, con una frase piuttosto retorica che però aiuta a capire cosa faccia Conte ai suoi calciatori.
Come principale attaccante di questo Napoli, dopo la cessione del miglior marcatore della Serie A del 2023, Victor Osimhen, Conte ha preteso che venisse comprato Romelu Lukaku, che aveva già allenato all’Inter e con cui aveva vinto lo Scudetto nel 2021. Rispetto a quattro anni fa, oggi Lukaku è un calciatore molto meno dirompente, che ha perso in parte la capacità di lanciarsi velocemente in profondità (alle spalle delle difese avversarie) e segnare quasi in ogni partita, soprattutto contro le squadre più forti.
Ciononostante, Conte lo ha voluto perché era un calciatore di cui sapeva di potersi fidare (un suo «fedelissimo», scrivono in molti) e perché sapeva che sarebbe stato centrale nel modo di giocare del Napoli, con la sua abilità di attirare su di sé le difese avversarie, proteggendo il pallone spalle alla porta e aprendo gli spazi per gli inserimenti dei suoi compagni. È stata la versione più essenziale e meno appariscente di Lukaku, che però ha comunque concluso la stagione con ben 14 gol e 10 assist: e anche grazie al suo lavoro McTominay ha segnato 12 gol e Frank Anguissa, altro importante centrocampista del Napoli, ne ha fatti altri 6.

Antonio Conte esulta dopo la vittoria di novembre in casa del Milan (AP Photo/Luca Bruno)
«In Italia non c’è allenatore su cui si ripongono più aspettative: Conte il sergente, il vincitore indiscusso e indiscutibile, allenatore perfetto per ricostruire dalle macerie; Conte che alla prima stagione senza coppe, alla Juventus e al Chelsea, ha sempre vinto il campionato», scriveva a novembre il sito sportivo Ultimo Uomo.
Anche al Napoli Conte ha rispettato le attese, agevolato dalla decisione del presidente Aurelio De Laurentiis di affidarsi a lui in tutte le scelte, cosa non scontata per un personaggio dal grande ego e abituato a essere protagonista, e che invece ha fatto un passo indietro dopo la disastrosa gestione della stagione successiva allo Scudetto del 2023. Adesso resta da capire cosa farà Conte, perché si dice che potrebbe anche andarsene subito: è sempre stato più bravo a ricostruire che a costruire, del resto, e una volta raggiunto il suo obiettivo ha spesso scelto di andare a rifare la sua cosa da un’altra parte.