Non dovremmo sapere tutte queste cose delle nuove indagini sull’omicidio di Garlasco

Nell'inchiesta che coinvolge Andrea Sempio la violazione del segreto investigativo è sistematica

Giornalisti in attesa della sentenza di appello del processo contro Alberto Stasi, nel 2014
Giornalisti in attesa della sentenza di appello del processo contro Alberto Stasi, nel 2014 (ANSA/DANIEL DAL ZENNARO)
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Nelle ultime due settimane diversi media e giornali hanno pubblicato atti giudiziari relativi alle nuove indagini sull’omicidio di Chiara Poggi, avvenuto nel 2007 a Garlasco: sono informazioni e documenti che non avrebbero potuto avere e pubblicare. Molti di questi atti sono infatti coperti dal cosiddetto segreto investigativo, l’insieme di norme previste dal codice di procedura penale per tutelare il regolare svolgimento delle indagini e di un eventuale processo, per garantire la presunzione di innocenza delle persone indagate e per stabilire i confini del diritto di cronaca.

Il caso più evidente di violazione del segreto investigativo riguarda la diffusione da parte del Tg1 di alcune fotografie contenute in una perizia commissionata dalla procura di Pavia su un’impronta trovata sul muro delle scale che portano alla cantina di casa di Chiara Poggi, il luogo in cui fu ritrovato il suo corpo. Inizialmente l’impronta fu scartata perché poco leggibile, ma nel 2020 la sua importanza venne riconsiderata: secondo i carabinieri poteva appartenere all’assassino di Poggi. La nuova perizia della procura sostiene che l’impronta sia di Andrea Sempio, un amico di Marco Poggi, fratello della vittima.

Sempio era già stato indagato anni fa, ma le accuse nei suoi confronti erano state archiviate: dall’inizio di marzo è nuovamente indagato per via della richiesta della procura di analizzare di nuovo alcune tracce di DNA trovate sulle unghie di Chiara Poggi dopo la sua morte. Le stesse tracce erano state analizzate anni fa, ma i metodi dell’epoca non avevano permesso di risalire a una persona precisa. Ora la procura sostiene che possano appartenere a Sempio, e per questo ha chiesto un incidente probatorio, uno strumento con cui nel corso delle indagini preliminari si acquisisce una prova che potrebbe essere utilizzata nel corso di un processo.

L’altro caso di violazione del segreto investigativo riguarda una serie di bigliettini scritti a mano da Andrea Sempio e recuperati dai carabinieri tra i rifiuti durante perquisizioni condotte in notturna. Sono per lo più appunti personali che contengono alcune riflessioni tra cui una frase ritenuta importante dagli investigatori: «Ho fatto cose talmente brutte che nessuno può immaginare». In altri appunti sono stati trovati dettagli dei suoi spostamenti nel giorno dell’omicidio di Chiara Poggi.

La perizia sull’impronta trovata in casa e il contenuto dei bigliettini trovati durante la perquisizione sono stati pubblicati dai media prima che gli avvocati di Sempio ne venissero a conoscenza. «Ho appreso dai media dei bigliettini», ha detto l’avvocata Angela Taccia in un’intervista a Fanpage. «La cosa importante che voglio dire è che mi dispiace che fra questi diari escano sempre contenuti a sfavore di Sempio. In questi diari c’è davvero di tutto come sfogo». L’altro avvocato, Massimo Lovati, nella stessa intervista ha detto che c’è una fuga di notizie che definisce strampalate: «Dovrebbe esserci il segreto istruttorio nei procedimenti seri, invece escono cose dappertutto e ne escono di ogni».

Lovati ha parlato di segreto istruttorio: in realtà quella definizione non esiste più dal 1989, quando entrò in vigore il nuovo codice di procedura penale. Da allora si parla di segreto investigativo, regolato da diverse norme del codice di procedura penale che riguardano gli investigatori, i magistrati e quindi la procura, gli avvocati della difesa, quelli delle parti civili e infine i giornalisti.

Le informazioni e i documenti che possono essere coperti da segreto sono gli atti giudiziari come gli avvisi di garanzia, gli inviti a comparire, i verbali degli interrogatori e le trascrizioni delle intercettazioni, le perizie tecniche e scientifiche, i risultati delle perquisizioni o anche il contenuto letterale delle ordinanze di custodia cautelare. Negli anni le regole che riguardano il segreto e la pubblicazione degli atti sono state modificate più volte, in particolare quelle relative alle intercettazioni.

– Leggi anche: Le intercettazioni durante le indagini non potranno durare più di un mese e mezzo

Anche nel caso di Garlasco, la prima cosa a cui fare attenzione è la distinzione tra la tutela del cosiddetto segreto interno e quella del segreto esterno. Il segreto interno è normato dall’articolo 329 del codice di procedura penale: semplificando molto, riguarda tutte le informazioni e gli atti di indagine raccolti prima che vengano comunicati alla persona indagata o al suo difensore. La conoscenza di questi atti deve essere riservata esclusivamente agli investigatori e ai magistrati: è una regola che tutela la stessa inchiesta, che potrebbe essere compromessa (un esempio è una persona che viene a sapere in anticipo di essere indagata, ma se ne potrebbero fare altri).

Il cosiddetto segreto esterno è invece normato dall’articolo 114 e riguarda tutti gli atti che vengono messi a disposizione della persona indagata e dei suoi avvocati. A questo punto non sono più davvero segreti, perché le parti ne vengono a conoscenza, ma non significa che siano pubblicabili. Il comma 2 dell’articolo 114 del codice infatti stabilisce che «è vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti da segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari, ovvero fino al termine dell’udienza preliminare».

Nella legge non è citata la divulgazione del contenuto: in pratica, degli atti protetti dal segreto non si può scrivere nemmeno quale sia il contenuto attraverso un riassunto, mentre di quelli non più coperti da segreto può essere diffuso ciò che contengono. Lo stesso articolo 114, al comma 7, dice che «è sempre consentita la pubblicazione del contenuto di atti non coperti dal segreto».

Sia la perizia sull’impronta trovata nella casa di Chiara Poggi che il risultato delle perquisizioni tra i rifiuti di Sempio sono atti coperti dal segreto investigativo (quello che prima abbiamo definito “interno”), quindi non potevano essere passati ai giornalisti, né pubblicati.

Le informazioni e gli atti di un’indagine possono essere ottenuti dai giornalisti da diverse fonti: ma un atto coperto da segreto, come nel caso della perizia sull’impronta trovata nella casa di Chiara Poggi, può essere stato passato al Tg1 solo da qualcuno degli uffici della procura, quindi un pubblico ministero, un funzionario di polizia giudiziaria coinvolto nelle indagini, un perito o un tecnico di un’azienda esterna incaricata dalla procura di fare accertamenti o perizie. Nel caso degli atti non più coperti da segreto, ma comunque non pubblicabili, oltre alla procura possono essere passati ai giornalisti anche dalla persona indagata, dai suoi avvocati o dagli avvocati delle parti civili, cioè i soggetti che si ritengono danneggiati dal reato in questione.

Spesso gli atti coperti da segreto vengono passati ai giornalisti dai magistrati, con obiettivi diversi. Lo si può fare per suscitare una reazione nella persona indagata, magari una confessione a qualcuno di fidato, che viene scoperta perché nel frattempo quella persona è stata messa sotto intercettazioni (talvolta può anche essere un modo per evitare che le indagini siano troppo lunghe). Oppure lo si fa nel tentativo di condizionare l’opinione pubblica, che soprattutto nei processi molto mediatici può avere un peso nel loro svolgimento: in questo modo però si scredita la persona indagata durante le indagini, prima ancora del processo, violando il principio della presunzione di innocenza.

Negli anni si è così instaurato un rapporto viziato tra magistrati e giornalisti: i primi si servono dell’informazione per far trapelare determinate notizie, solo alcune ovviamente, nell’interesse dell’accusa, mentre i secondi ottengono notizie prima della concorrenza, i cosiddetti scoop. Tuttavia, avendo a disposizione solo le informazioni selezionate dall’accusa, il loro lavoro è inevitabilmente parziale.

Luigi Ferrarella del Corriere della Sera, tra i più autorevoli e stimati giornalisti di cronaca giudiziaria, in un contributo pubblicato sulla rivista Diritto penale contemporaneo nel 2017 ha scritto che questo sistema contribuisce a «creare le condizioni non per il corretto racconto fisiologico del processo ordinario, bensì per il racconto di un processo mediatico». Il processo mediatico, a differenza di quello ordinario, non finisce mai e «lavora in modo bulimico: raccoglie qualsiasi conoscenza arrivi nel margine di percezione di un giornalista o di un microfono o di una telecamera. Il processo ordinario ha un assetto accusatorio, il processo mediatico si risolve spesso in un’ottica inquisitoria».

Tutti gli esperti di diritto che negli anni hanno scritto di questo tema sottolineano il rischio che la pubblicazione degli atti coperti da segreto e più in generale il processo mediatico possano compromettere la cosiddetta “verginità cognitiva” del giudice o dei giurati, tenuti a farsi un’opinione sulla base delle conoscenze acquisite durante un processo e non prima, magari guardando una trasmissione televisiva. I giudici dovrebbero essere protetti il più possibile dai condizionamenti che possano compromettere l’obiettività dei loro giudizi, per questo motivo le campagne mediatiche quasi sempre colpevoliste sono una minaccia.

Ennio Amodio, professore emerito di procedura penale all’università di Milano, in un’intervista al Dubbio ha detto che nel caso delle nuove indagini di Garlasco la violazione del segreto investigativo ha un obiettivo evidente: le nuove indagini infatti sono arrivate a distanza di 18 anni dal fatto e quindi c’è una loro «intrinseca debolezza» di cui gli investigatori sono consapevoli.

Questi ultimi secondo Amodio vorrebbero ribaltare questa debolezza cercando il sostegno dell’opinione pubblica. «È per questo che raccontano le indagini e le investigazioni minuto per minuto, perché capiscono che solo con la pressione dell’opinione pubblica si può arrivare a ribaltare un caso, ormai definito da una sentenza passata in giudicato».

Nel caso di Andrea Sempio le indagini sono ancora in corso: al di là del clamore mediatico, finora anche gli elementi trapelati dalle indagini sono stati molto pochi e poco chiari. Qualcosa in più si capirà quando si concluderanno le indagini e la procura formulerà una richiesta di archiviazione o un’accusa nei suoi confronti (e quindi anche la richiesta che venga processato). In entrambi i casi poi sarà un giudice a doversi esprimere.

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