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  • Venerdì 23 maggio 2025

Il Suriname sogna un futuro da Dubai del Sudamerica

La recente scoperta di giacimenti petroliferi potrebbe cambiare uno dei paesi meno conosciuti e più etnicamente peculiari della regione

Battelli sul fiume Suriname a Paramaribo (Ricardo Montoya/Xinhua via ZUMA Press)
Battelli sul fiume Suriname a Paramaribo (Ricardo Montoya/Xinhua via ZUMA Press)
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Il Suriname è un piccolo paese nella parte settentrionale del continente sudamericano, piuttosto povero e molto indebitato. È occupato al 90 per cento dalla foresta Amazzonica e ci vivono meno di 700mila persone, con una composizione etnica piuttosto peculiare per la regione, risultato di una storia coloniale finita nel 1975. Tutti i suoi abitanti contano di diventare molto più ricchi nei prossimi anni, grazie a enormi giacimenti di petrolio scoperti di recente. Le estrazioni inizieranno nel 2028, ma già da adesso i politici locali stanno promettendo soldi “a pioggia” a tutti i cittadini.

In Suriname domenica si vota per eleggere i 51 membri del parlamento, che poi sceglieranno presidente e vicepresidente. Gli eletti resteranno in carica per 5 anni e potranno gestire i primi effetti della prossima ricchezza. Finora elettori ed elettrici hanno votato perlopiù su base etnica: non essendoci un’etnia maggioritaria, i governi sono stati spesso di coalizione.

Nel paese ci sono indiani (circa il 27%), discendenti di lavoratori che vennero qui per lavorare nelle piantagioni dopo l’abolizione della schiavitù; indonesiani di Giava (14%), arrivati perché Suriname e Indonesia erano entrambe colonie dei Paesi Bassi; discendenti degli schiavi africani e dei maroon, schiavi fuggiti e poi rimasti nel paese (insieme sono più di un terzo della popolazione); minoranze di popoli indigeni (meno del 4%) e di cinesi (2%, da un’immigrazione recente); una componente importante di meticci (quasi il 15%) e pochissimi eredi dei colonizzatori olandesi.

La lingua ufficiale è l’olandese, la composizione etnica rende il Suriname molto poco “latino” e molto diverso dal Brasile, con cui confina, o dal vicino Venezuela. È anche un paese dove convivono senza particolari tensioni cristiani, musulmani e induisti.

Una via di Paramaribo, Suriname (Ricardo Montoya/Xinhua via ZUMA Press)

Politica e società del Suriname potrebbero però cambiare parecchio nei prossimi anni: i giacimenti di petrolio scoperti nelle acque territoriali sono stati stimati in 30 miliardi di barili, che ne farebbero uno dei primi 15 paesi al mondo come riserve conosciute. Il primo di vari siti di estrazione è valso un investimento di 10,5 miliardi di dollari dal gruppo francese TotalEnergies e potrà produrre fra i 200mila e i 500mila barili al giorno.

Il paese ha creato un fondo sovrano, simile a quello della Norvegia, per mettere da parte e gestire i ricavi del petrolio (e anche del gas naturale, altra scoperta). Nella vicina Guyana, dove qualche anno prima sono stati trovati giacimenti di dimensioni simili, il PIL è cresciuto di circa il 47% l’anno fra il 2022 e il 2024.

Recentemente un programma “Proventi per tutti” è stato annunciato dal presidente uscente Chan Santokhi, del Partito Riformista Progressista, espressione della comunità indiana: dai prossimi mesi l’equivalente di circa 700 euro verrà depositato su nuovi conti di tutti i cittadini del Suriname. Resteranno lì con un interesse del 7% l’anno fino alla messa in funzione del primo pozzo. Santokhi assicura che è solo l’inizio, mentre gli avversari politici lo accusano di voler «comprare i voti».

Il presidente Chan Santokhi alla COP28 di Dubai (AP Photo/Rafiq Maqbool)

I partiti in corsa sono molti, quattordici, ma solo sei-sette hanno possibilità di entrare in parlamento (voto proporzionale). Fra questi c’è il Partito Nazional Democratico (NDP) fondato da Dési Bouterse, prima dittatore negli anni Ottanta, poi presidente democraticamente eletto nel 2010, morto nel 2024. Ma c’è anche il Partito della Liberazione generale e dello Sviluppo (APOB) del vicepresidente Ronnie Brunswijk, ex guerrigliero che combatté proprio contro la dittatura di Bouterse e che oggi è sostenuto soprattutto dai maroon.

Le promesse di un florido futuro si scontrano con un presente piuttosto complicato, a livello economico e non solo. Una persona su cinque vive sotto la soglia della povertà, il dollaro locale rispetto a quello statunitense vale un quarto in confronto a quattro anni fa, l’inflazione è altissima e il debito pubblico è pari al 79% del PIL. Il Suriname per ora dipende dai prestiti del Fondo Monetario Internazionale, che per rinnovarli ha imposto misure di austerità.

Il paese è diventato una stazione del traffico della cocaina e di altre droghe illegali verso il Nordamerica, soprattutto attraverso il porto della capitale Paramaribo, mentre nell’interno si sono sviluppate diverse miniere illegali (oro e bauxite erano le principali risorse, prima di petrolio e gas). Grazie alle molte foreste e al poco sviluppo, il Suriname è però uno dei pochi paesi al mondo che assorbono dall’atmosfera più gas serra di quanti ne emettano, e dunque si può dire che non contribuisce al cambiamento climatico. Almeno per ora, poi bisognerà valutare gli impatti dei pozzi e dei conseguenti investimenti in infrastrutture.

Un esperto cinese in un centro di sviluppo agricolo finanziato dalla Cina (Li Mengxin/Xinhua via ZUMA Press)

Oltre ai debiti con il Fondo Monetario Internazionale, ne ha di ingenti anche con la Cina, con cui le relazioni sono diventate molto strette negli ultimi quindici anni. I maggiori investimenti in Suriname sono stati di aziende cinesi e nel 2019 il paese fu uno dei primi del continente a entrare nella nuova Via della Seta cinese, il grande progetto infrastrutturale mondiale di Xi Jinping.

Questa “alleanza” ha attirato più attenzioni dopo le scoperte petrolifere: il segretario di Stato statunitense Marco Rubio ad aprile è stato in visita in Suriname per provare a stabilire relazioni più solide e ridurre l’influenza cinese.

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