Trump si sta tirando indietro sull’Ucraina?
Dopo l'ennesima riunione a vuoto, ha detto che se non ci saranno progressi entro un mese nei negoziati sul cessate il fuoco smetterà di occuparsene

Nella telefonata di lunedì durata due ore tra il presidente americano Donald Trump e quello russo Vladimir Putin non ci sono stati progressi verso la fine dell’invasione russa in Ucraina. Anzi, ci sono stati dei passi all’indietro.
Trump ha detto che se non ci saranno risultati entro un mese abbandonerà i negoziati tra Stati Uniti, Russia e Ucraina. «I’ll back away», mi tirerò indietro, ha detto, ed è un grosso cambiamento rispetto all’anno scorso, quando in campagna elettorale disse almeno 53 volte che sarebbe stato in grado di ottenere la pace tra Russia e Ucraina nel giro di ventiquattr’ore. È come se Trump non avesse più una fiducia totale nella possibilità di trovare un accordo che faccia risaltare le sue qualità di mediatore e volesse cominciare a ipotizzare di sfilarsi. Ha detto anche che se i negoziati tra russi e ucraini si svolgessero in Vaticano «sarebbe fantastico».
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Trump ha abbandonato l’idea del cessate il fuoco di trenta giorni tra Russia e Ucraina, che era nata a marzo dai negoziati fra ucraini e americani a Gedda, in Arabia Saudita. L’idea era proporre alla Russia trenta giorni di pausa nella guerra, per fermare le morti di soldati al fronte e di civili nelle città bombardate, come gesto per creare un clima di aspettative positive tra russi e ucraini. I governi di Francia, Germania, Regno Unito e Polonia avevano adottato questa proposta e avevano minacciato di imporre nuove sanzioni contro la Russia se non avesse accettato.
Il governo russo invece dice di voler invertire l’ordine delle cose: prima si fanno i negoziati tra russi e ucraini e poi, se sarà il caso, si farà la tregua di trenta giorni.
Inoltre, in una conferenza stampa dopo la telefonata con Putin, il presidente statunitense ha detto che non imporrà sanzioni contro i russi perché in questo momento potrebbe peggiorare le cose. Ha anche parlato con entusiasmo della possibilità di creare buone opportunità commerciali con la Russia alla fine della guerra. Sono dichiarazioni che non ci si aspetterebbe da Trump, se Trump volesse creare un clima di pressione su Vladimir Putin. Trump ha detto che si fida di Putin e che il presidente russo vuole finire la guerra.
I negoziati diretti tra russi e ucraini come venerdì a Istanbul andranno avanti, ma c’è il rischio che la Russia li consideri soltanto un’operazione di facciata per accontentare l’amministrazione Trump. Fonti che erano al tavolo dei negoziati hanno detto ai giornalisti che il tono dei diplomatici russi con gli ucraini è stato duro.
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Il settimanale Economist scrive che Vladimir Medinskij, il capo dei negoziatori russi, ha detto alla delegazione ucraina: «Non vogliamo la guerra, ma siamo pronti a combattere per un anno, due, tre – per tutto il tempo che ci vuole. Abbiamo combattuto in Svezia per ventuno anni. Quanto a lungo siete pronti a combattere?». Era un riferimento storico a una guerra combattuta tra il 1700 e il 1721.
Medinskij ha detto ai negoziatori ucraini: «Forse qualcuno seduto a questo tavolo perderà qualcun altro dei suoi cari. La Russia è pronta a combattere per sempre». È possibile che fosse una frase diretta a Serhiy Kyslytsya, ex ambasciatore ucraino alle Nazioni Unite che ora fa parte della delegazione inviata dall’Ucraina. Suo nipote è stato ucciso in combattimento nel 2022.
I negoziatori russi hanno chiesto agli ucraini di cedere quattro regioni. Due sono Luhansk e Donetsk e formano il Donbas. Le altre due sono Zaporizhzhia e Kherson. I soldati russi hanno invaso queste regioni, controllano il 95 per cento di Luhansk ma sono riusciti a prendere soltanto alcune parti nelle altre tre. In pratica i russi vorrebbero che gli ucraini consegnassero città e grandi territori che non sono mai stati occupati. I negoziatori inviati da Putin hanno minacciato gli ucraini che se non accetteranno la proposta la prossima volta parleranno di sei regioni, invece che di quattro, includendo anche Kharkiv e Sumy.
Medinskij è lo stesso capo delegazione dei negoziati tra russi e ucraini falliti sempre a Istanbul nella primavera del 2022; un fallimento che la propaganda russa addossa all’Ucraina e agli alleati europei. Venerdì i negoziatori si sono accordati su uno scambio di mille prigionieri contro mille prigionieri, che in questo tipo di incontri è la cosa più facile da ottenere, e sulla promessa di continuare gli incontri diretti.
Una delle ragioni che spiegano perché Putin respinge il cessate il fuoco di trenta giorni è il fatto che i soldati russi sembra abbiano rinunciato per ora a prendere la città di Pokrovsk, dove non riescono a entrare a causa della resistenza ucraina, e però da lì siano avanzati di una decina di chilometri in direzione nord.
Questo affondo posiziona i soldati russi nel centro del Donbas e fa sospettare una manovra in direzione di Kramatorsk, la capitale di fatto del Donbas non occupato. Se a questo si aggiunge che siamo entrati nei mesi migliori per combattere, da maggio a settembre grazie alle condizioni meteo favorevoli, è possibile immaginare che la Russia voglia montare una grande offensiva nel Donbas, provare ancora una volta a prendere altro territorio e poi semmai negoziare.
L’occupazione completa del Donbas resta l’obiettivo minimo dell’invasione russa, il traguardo che potrebbe soddisfare Putin prima di un accordo con l’Ucraina.