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  • Martedì 20 maggio 2025

La donna cerebralmente morta tenuta in vita perché incinta, negli Stati Uniti

La famiglia di Adriana Smith non può scegliere, in ragione della legge dello stato molto restrittiva sull'aborto

Una protesta del 2022 contro le restrizioni all'accesso all'interruzione di gravidanza (AP Photo/Ben Gray)
Una protesta del 2022 contro le restrizioni all'accesso all'interruzione di gravidanza (AP Photo/Ben Gray)
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In Georgia, negli Stati Uniti, una donna cerebralmente morta è tenuta in vita con sostegno medico artificiale perché incinta: la famiglia non ha potuto scegliere, l’ospedale in cui è ricoverata ha detto di dover seguire le norme e in particolare la legge statale che vieta l’interruzione di gravidanza da quando è possibile individuare il battito del cuore del feto. Adriana Smith era incinta di due mesi al momento della morte cerebrale, una condizione non reversibile e dopo la quale viene normalmente dichiarato il decesso, e la legge della Georgia sull’aborto è fra le più restrittive del paese.

Questo caso ha evidenziato limiti e problemi etici dell’applicazione della legge della Georgia, entrata in vigore nel 2022, quando la Corte Suprema degli Stati Uniti annullò la sentenza che garantiva il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza in tutto il paese.

Il caso di Adriana Smith è stato reso pubblico dalla famiglia. La donna, un’infermiera di 30 anni di Atlanta, madre di un figlio di sette anni, il 9 febbraio si era presentata in ospedale con forti mal di testa: secondo la famiglia avrebbe ricevuto solo degli antidolorifici, ma non sarebbe stata sottoposta a nessun esame. Il 19 febbraio fu trovata in condizioni più gravi dal compagno (che non ha parlato pubblicamente) e fu ricoverata all’Emory University Hospital Midtown, dove una TAC evidenziò la presenza di coaguli di sangue nel cervello. Il giorno stesso fu decretata la morte cerebrale.

L’ospedale comunicò alla famiglia che la presenza di un feto di nove settimane imponeva alla struttura di mantenere in vita artificialmente Smith, fino a quando fosse possibile procedere con relativa sicurezza a un parto prematuro. Secondo la madre della donna, April Newkirk, questo avverrà alla 32esima settimana, cioè agli inizi di luglio. La famiglia ha denunciato di non avere alcuna possibilità di scelta sui trattamenti per la figlia né sul portare a termine la sua gravidanza.

Newkirk ha raccontato le visite frequenti alla figlia in ospedale, accompagnata dal nipote, definendo questa esperienza «una tortura»: «Questa decisione dovrebbe spettare a noi».

Non è stata informata nemmeno se la bambina potrà soffrire di gravi malattie o disabilità in caso la gravidanza sia portata a termine. Esperti medici citati da vari media statunitensi dicono che non ci sono casi clinici conosciuti di gravidanze positive e senza conseguenze portate avanti da madri cerebralmente morte così presto.

Il caso di Smith ha riaperto il dibattito sulla legge sull’aborto della Georgia, la Living Infants Fairness and Equality (LIFE) Act (Legge sulla correttezza e uguaglianza dei neonati), che di fatto vieta di interrompere la gravidanza dopo la sesta settimana, un momento in cui la maggior parte delle donne non sa neanche di essere incinta (in Italia è possibile abortire in tutti i casi fino alla dodicesima settimana di gravidanza, e in casi particolari fino alla viabilità del feto, cioè fino a quando il feto avrebbe possibilità di sopravvivere al di fuori dell’utero). La legge era stata dichiarata incostituzionale da un giudice e quindi sospesa a fine settembre, ma ristabilita dalla Corte Suprema della Georgia il 7 ottobre.

La legge è stata approvata da una maggioranza Repubblicana, ora il procuratore generale della Georgia, il Repubblicano Chris Carr, ha fatto sapere attraverso un portavoce di non ritenere che la legge sia coinvolta nel caso: «La rimozione del supporto vitale non è un’azione “con lo scopo di interrompere una gravidanza”».

La maggioranza Repubblicana del Congresso statale ha definito la legge «irrilevante nel caso», ma alcuni promotori della legge, come il senatore Ed Setzler, sostengono invece che l’ospedale abbia «agito correttamente». Vari esperti legali ritengono che la questione non sia chiara, mentre l’ospedale Emory non ha voluto commentare il caso, ma ha detto solo di agire rispettando il «parere clinico di esperti, la letteratura medica e consigli legali in ottemperanza della legge sull’aborto della Georgia e di tutte le altre leggi coinvolte».

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