Il calcio francese e la giornata per la lotta all’omofobia, ogni anno la stessa storia
L'iniziativa è stata di nuovo boicottata da alcuni giocatori, e non c'entra solo la religione islamica

Anche nel 2025 la giornata dedicata alla lotta contro l’omofobia nel calcio francese è diventata occasione di polemiche, dopo che alcuni calciatori hanno deciso di boicottare l’iniziativa. Sono due i casi che hanno fatto maggiormente discutere: quello dell’attaccante egiziano Mostafa Mohamed del Nantes, e quello del centrocampista serbo Nemanja Matić dell’Olympique Lione (conosciuto in Italia per aver giocato nella Roma nella stagione 2022/23).
Di Mohamed si è iniziato a parlare giovedì 15 maggio, quando RMC Sport ha rivelato che l’attaccante del Nantes non avrebbe giocato sabato contro il Montpellier. Per Mohamed non è una novità: da quando è arrivato in Francia nell’estate del 2022 non ha mai giocato nel turno del 17 maggio, cioè quello della Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia. Ogni anno in questa occasione nelle due divisioni professionistiche del calcio francese i giocatori scendono in campo con simboli o messaggi a sostegno della comunità LGBTQ+. Nel 2025 la campagna prevedeva che sulla manica destra della maglia di ogni giocatore ci fosse il logo del campionato con i colori dell’arcobaleno e la scritta “omofobia” barrata e corretta con “calcio”.
Nelle due stagioni precedenti il giocatore era sempre stato assente il 17 maggio ufficialmente per infortunio, ma già nel 2024 i media francesi avevano interpretato la sua assenza come una forma di boicottaggio contro l’iniziativa. Dopo l’articolo di RMC Sport, Mohamed ha confermato per la prima volta in una storia su Instagram che non avrebbe giocato, motivando la sua decisione con “alcuni valori profondamente radicati, legati alle mie origini e alla mia fede”.

Mostafa Mohamed con la maglia del Nantes (Sebastian Frej/MB Media/Getty Images)
Mohamed è di religione musulmana, e nell’Islam il tema dell’omossesualità è ancora molto dibattuto. Nel Corano non ci sono riferimenti a questo orientamento sessuale, ma nel corso del tempo diversi studiosi del diritto islamico hanno interpretato alcuni passaggi ricavandone dei divieti nei confronti dell’omosessualità. Queste interpretazioni vengono regolarmente usate nei paesi musulmani particolarmente conservatori per legittimare la criminalizzazione della comunità LGBTQ+.
In generale in Medio Oriente e in molti paesi a maggioranza musulmana l’omosessualità è spesso vista negativamente, e questo aspetto emerge talvolta nel calcio europeo, dove da qualche anno c’è maggiore sensibilità su questi temi (nonostante ci siano ancora molti problemi e anche i progressi più banali avvengano molto lentamente), e vengono organizzate apposite campagne. Lo scorso dicembre il centrocampista della squadra inglese dell’Ipswich Town Sam Morsy – inglese di origini egiziane – si era rifiutato di indossare una fascia da capitano arcobaleno, mentre il difensore marocchino del Manchester United Noussair Mazraoui aveva fatto lo stesso con una giacca con sopra disegni e scritte a sostegno della comunità LGBTQ+. Entrambi avevano giustificato le proprie decisioni con motivazioni religiose.
I due giocatori erano stati duramente criticati in Inghilterra da parte di diversi gruppi di tifosi, specialmente quelli appartenenti alla comunità LGBTQ+. Morsy in particolare era stato accusato di essere incoerente rispetto alla giustificazione che aveva dato, quella religiosa, visto che anni prima quando giocava al Middlesbrough non aveva avuto problemi a vestire una maglia sponsorizzata dalle note aziende di gioco d’azzardo Unibet e 32Red: il gioco d’azzardo è severamente condannato nel Corano. Lo stesso discorso può essere fatto per Mostafa Mohamed, visto che tra gli sponsor del Nantes c’è la società di scommesse ZEbet.
Dal caso dell’attaccante egiziano è scaturita anche una polemica politica. Il presidente della Federcalcio francese Philippe Diallo si è detto “profondamente rammaricato” per la decisione di Mohamed, mentre la ministra dello Sport Marie Barsacq ha condannato il gesto chiamandolo “una colpa professionale e morale”. Alla polemica si è poi aggiunto anche Jordan Bardella, il leader del partito di estrema destra Rassemblement National, che ha definito la scelta di Mohamed “omofoba e islamista”.
La questione è però più complicata di così e difficilmente si può relegare a un problema che riguarda solo l’Islam: lo dimostra innanzitutto il successivo caso di Matić. Il centrocampista del Lione è sceso in campo sabato sera contro l’Angers con il logo della campagna contro l’omofobia coperto da un nastro bianco: Matić è serbo e di religione cristiana ortodossa. Un altro caso simile al suo è quello di Marc Guéhi, difensore inglese di origini ivoriane del Crystal Palace, che lo scorso dicembre aveva scritto «Io amo Gesù» sulla propria fascia da capitano arcobaleno.

Matić con la maglia del Lione lo scorso 26 aprile, durante una partita contro il Rennes (Eurasia Sport Images/Getty Images)
Coprire o modificare determinati indumenti stabiliti da disposizioni delle federazioni o delle leghe è spesso considerato una violazione dai regolamenti sportivi. Nel caso di Guéhi, la Football Association aveva scelto di non punire il difensore del Crystal Palace, ma nel maggio del 2024 il centrocampista maliano del Monaco Mohamed Camara era stato squalificato per quattro giornate per aver coperto con un nastro il logo della campagna contro l’omofobia.
Anche Matić adesso rischia una lunga squalifica. Mostafa Mohamed del Nantes, invece, non subirà alcuna sanzione da parte della federazione francese o della Ligue 1, non avendo giocato, ma sarà multato dal suo club. È la terza volta in tre anni che l’attaccante egiziano riceve una sanzione dal Nantes per il suo rifiuto di giocare pur di non dover vestire simboli arcobaleno.
Negli ultimi anni il problema dei giocatori che si rifiutano di partecipare alle campagne contro l’omofobia ha riguardato soprattutto la Francia. Nel 2022 aveva avuto grande risonanza il caso del centrocampista senegalese del Paris Saint-Germain Idrissa Gueye, mentre un anno dopo erano stati addirittura cinque i giocatori che avevano boicottato la campagna: il difensore senegalese del Guingamp Donatien Gomis; i giocatori del Toulouse Zakaria Aboukhlal, Moussa Diarra e Saïd Hamulic; e il già citato Mohamed.
La cosa comunque non aveva riguardato solo i giocatori. Nel 2023 l’allenatore Bruno Genesio, all’epoca al Rennes, aveva detto di essere contrario a indossare simboli a sostegno della comunità LGBTQ+. Aveva anche detto di essere contro ogni forma di discriminazione ma aveva aggiunto commenti che non lo aiutavano ad avvalorare particolarmente questa tesi, come «siamo qui per giocare a calcio» e «iniziative del genere non credo siano necessarie». Il suo collega Eric Roy, tecnico del Brest, si era lamentato che le assenze in alcune squadre avrebbero potuto falsare la lotta per non retrocedere, dicendo pure che la LFP (l’associazione che organizza i due campionati professionistici francesi) avrebbe dovuto «occuparsi solo di calcio».

Lionel Messi e Kylian Mbappé, due dei più forti giocatori passati dalla Ligue 1, con i numeri di maglia coi colori arcobaleno in occasione della giornata per la lotta contro l’omofobia, nel 2023 (EPA/CHRISTOPHE PETIT TESSON)
In Francia insomma la difficoltà nel contrasto all’omofobia nel calcio sembra piuttosto radicata e non è attribuibile solo a giocatori musulmani. L’associazione Rouge Direct denuncia periodicamente numerosi episodi discriminatori, soprattutto nei cori delle varie tifoserie, mentre nel 2013 uno studio condotto dallo psicologo Anthony Mette per l’associazione Paris Foot Gay aveva evidenziato che il 41% dei calciatori professionisti in Francia aveva atteggiamenti ostili verso l’omosessualità.
«Alcuni giocatori non vogliono sentirne parlare» ha raccontato il 15 maggio a L’Équipe Jonathan Clauss, 32enne centrocampista del Nizza. Clauss ha precisato di non aver mai assistito a comportamenti omofobi da parte di suoi compagni di squadra o a rifiuti espliciti di prendere parte alle iniziative contro l’omofobia, ma ha ammesso che il clima nel calcio è piuttosto ostile verso la comunità LGBTQ+ e che ritiene molto difficile che si possa vedere a breve un coming out nel campionato francese.
Le eccezioni comunque non mancano. Oltre allo stesso Clauss, che ha fatto rare dichiarazioni pubbliche sul tema schierandosi apertamente, alcuni anni fa anche Antoine Griezmann aveva preso posizione sull’argomento. Oggi gioca nell’Atlético Madrid, in Spagna, ma è uno dei più apprezzati calciatori francesi dell’ultimo decennio e beniamino dei tifosi in nazionale: nel 2019 aveva posato in copertina per la rivista Têtu e aveva dichiarato che per lui l’omofobia «non è un’opinione, ma un delitto».