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  • Martedì 13 maggio 2025

Il figlio di El Chapo è difficile da catturare quanto suo padre

Iván Archivaldo Guzmán è oggi uno dei narcotrafficanti più potenti del Messico, ma nonostante vasti sforzi la polizia non riesce ad arrestarlo

Un'operazione dell'esercito a Culiacán il 19 settembre 2024 (AP Photo/Eduardo Verdugo)
Un'operazione dell'esercito a Culiacán il 19 settembre 2024 (AP Photo/Eduardo Verdugo)
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Il cartello di Sinaloa è una delle organizzazioni criminali più potenti del Messico, se non la più potente, e chi lo guida è probabilmente il narcotrafficante più ricercato dalla polizia messicana: un tempo era Joaquín Guzmán Loera, meglio noto come El Chapo, arrestato definitivamente nel 2017 e condannato nel 2019 all’ergastolo negli Stati Uniti. Da allora il cartello si è frammentato in quattro fazioni, fra cui quella capeggiata dai Chapitos, quattro dei numerosi figli di Guzmàn.

Il più potente fra i Chapitos è Iván Archivaldo Guzmán, il più anziano fra i maschi (è nato nel 1983): la polizia non è ancora riuscita ad arrestarlo. Dal 2023 è ricercato anche dagli Stati Uniti, che offrono una ricompensa di 10 milioni di dollari per la sua cattura.

La stampa messicana ha scritto che il più recente tentativo risale a febbraio, dopo l’arresto di due suoi importanti collaboratori: l’uomo che ne gestisce le finanze, José Ángel Canobbio Inzunza, detto El Güerito, e il suo capo della sicurezza, Kevin Alonso Gil, detto El 200.

Ora il Wall Street Journal ha appreso da fonti di sicurezza messicane maggiori dettagli sull’ultimo tentativo di arresto di Iván Archivaldo Guzmán, che per certi versi è andato a finire come molti altri che avevano come obiettivo suo padre.

Una foto di Iván Archivaldo Guzmán diffusa dall’ICE, l’agenzia degli Stati Uniti per il controllo delle dogane e dell’immigrazione

Tramite le informazioni ottenute da Canobbio Inzunza e Gil dopo il loro arresto, la polizia era riuscita a risalire al rifugio di Guzmán. Si trovava nella città di Culiacán, roccaforte del cartello e capitale dello stato di Sinaloa, uno dei vari stati federati del Messico. Gli agenti avevano provato a sfondare la porta con un ariete, senza successo: come suo padre, Guzmán usa soltanto porte ultra-blindate per le case in cui abita. I poliziotti avevano quindi sfondato la parete guidandoci contro un veicolo corazzato. Dentro la casa c’erano varie foto della famiglia Guzmán e cimeli legati a loro, come cappellini da baseball firmati, e molte armi. In fondo a un corridoio c’era un’altra porta blindata, che sono riusciti a sfondare con l’ariete: all’interno però non c’era nessuno.

Una porta nascosta dietro a un armadietto portava a un tunnel illuminato e abbastanza alto da permettere il comodo passaggio di una persona, da cui era probabilmente fuggito Guzmán.

Seguendolo gli agenti sono arrivati in una casa vuota a tre isolati di distanza, senza nessuna traccia del narcotrafficante. Quella dei tunnel è stata una strategia usata anche dal padre, per esempio nel 2016 per sfuggire a un tentativo di cattura nella città di Los Mochis, sempre a Sinaloa. Il tunnel più celebre di El Chapo è però quello usato nel 2015 per sfuggire da un carcere di massima sicurezza messicano dopo il suo secondo arresto, avvenuto un anno prima. Il tunnel portava dalla doccia nella sua cella a un cantiere a un chilometro e mezzo di distanza, e al suo interno c’era anche una motocicletta montata su dei binari.

L’ingresso di un tunnel trovato nel 2016 in una casa dove secondo la polizia messicana si trovava El Chapo, che probabilmente l’ha usato per fuggire (AP Photo/Eduardo Verdugo)

Non sono solo i tunnel a permettere ai Guzmán di sfuggire alle autorità. Il cartello può contare sia su una scorta composta da numerosi uomini armati, sia su una vasta rete di informatori, che arriva a coinvolgere anche gran parte degli abitanti delle zone in cui il cartello è più radicato, nel nord-ovest del Messico. I lavoratori aeroportuali e degli hotel tengono d’occhio chi arriva e chi passa dalle città come Culiacán e i venditori di strada riferiscono ai narcotrafficanti i movimenti della polizia e dell’esercito, che da anni viene dispiegato nelle strade messicane per cercare di contrastare i crimini legati al traffico di stupefacenti, con successi limitati.

Fin da quando nel 2006 l’allora presidente messicano Felipe Calderón dichiarò “guerra alle droghe” schierando l’esercito contro i narcotrafficanti, i cartelli messicani hanno dimostrato una grande capacità nell’aumentare le proprie capacità tattiche e la propria potenza di fuoco: la militarizzazione delle operazioni di contrasto al narcotraffico ha spinto le bande criminali a dotarsi di armamenti più potenti, come lanciarazzi e mitragliatrici montate sui pick-up, e ad aumentare le strategie per il controllo del territorio.

A Culiacán lo si è potuto vedere in due occasioni simili: nel 2019 e nel 2023 la città fu bloccata da vaste operazioni di guerriglia urbana avviate dal cartello di Sinaloa contro poliziotti e soldati, che avevano arrestato Ovidio Guzmán López, uno dei figli di El Chapo e fratello minore di Iván Archivaldo. La violenza della risposta delle gang fu tale che nel 2019 le autorità messicane accettarono di rilasciare l’uomo. Nel 2023 invece venne tenuto in custodia e poi estradato negli Stati Uniti.

El Chapo scortato da soldati messicani dopo il suo ultimo arresto, nel 2016 (AP Photo/Rebecca Blackwell)

Non sono solo le persone civili a mettersi al servizio dei cartelli: la loro rete è profondamente radicata negli apparati di polizia e sicurezza, che spesso non fanno nulla per fermare le loro operazioni e ostacolano quelle dei propri colleghi.

L’influenza dei narcotrafficanti è arrivata fino al governo: nel 2024 l’ex ministro della Sicurezza messicano Genaro García Luna (in carica fra 2006 e 2012) è stato condannato negli Stati Uniti per aver ricevuto grosse tangenti dal cartello di Sinaloa per non contrastare le loro attività. È il funzionario pubblico di più alto livello a essere condannato per aver collaborato con i cartelli.

A Culiacán la polizia non riesce nemmeno a fermare gli scontri fra i Chapitos e le altre fazioni del cartello di Sinaloa. Sotto El Chapo l’organizzazione agiva in maniera più o meno unitaria, ma con il suo ultimo arresto, nel 2016, la sua estradizione negli Stati Uniti, nel 2017, e la sua condanna all’ergastolo, nel 2019, il cartello è divenuto più che altro un raggruppamento di diverse organizzazioni, che a volte condividono risorse e altre si combattono ferocemente nelle strade e nelle campagne per controllare i laboratori in cui vengono prodotti gli stupefacenti (principalmente il fentanyl) e i punti di passaggio al confine con gli Stati Uniti, dove si trovano i loro clienti.

Una donna uccisa in strada a Culiacán, il 26 febbraio 2025 (AP Photo/Fernando Llano)

Secondo la Drug Enforcement Agency, l’agenzia degli Stati Uniti per la lotta contro il narcotraffico, le fazioni in cui si è diviso il cartello sono quattro. Una è quella dei Chapitos. Altre fazioni importanti del cartello sono quella guidata da un fratello di El Chapo, Aureliano “El Guano” Guzmán Loera, e il cosiddetto cartello di Caborca, fondato da un vecchio collaboratore di El Chapo, Rafael Caro Quintero. Caro è stato arrestato nel 2022, e da allora i Chapitos combattono i suoi seguaci per ottenere il controllo delle zone al confine con gli Stati Uniti nel deserto di Sonora, più a nord dello stato di Sinaloa e di Culiacán.

– Leggi anche: In Messico è ricominciato il dibattito sulle canzoni che celebrano i narcotrafficanti

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