Quell’esame della prostata è ancora utile?

Prima o poi quasi tutti gli uomini fanno i conti con l'esplorazione rettale, ma la sua affidabilità è discussa da tempo

(Getty Images)
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In una nuova proposta di aggiornamento delle linee guida sul tumore della prostata, la Società di urologia tedesca ha intenzione di rivedere le raccomandazioni che riguardano l’esplorazione rettale per fare diagnosi precoci. L’esame, verso cui alcuni pazienti sono restii a sottoporsi, è discusso da tempo per la sua bassa affidabilità se non compreso in attività diagnostiche più ampie, e per questo in Germania si sta pensando di renderlo meno centrale nelle visite urologiche. L’intenzione è di dare peso ad altri esami, compresi quelli del sangue, ma ci sono dubbi sul cambiamento di approccio considerato che non c’è ancora un ampio consenso scientifico, soprattutto sul miglior modo per effettuare le diagnosi precoci ed eventuali screening.

Il carcinoma della prostata è uno dei tumori più diffusi tra gli uomini, gli unici a esserne interessati perché questa ghiandola è presente solamente nell’apparato genitale maschile, e ha la funzione di produrre le sostanze che nello sperma nutrono gli spermatozoi. In Italia è il tipo di tumore più frequente tra gli uomini, con più di 40mila diagnosi all’anno. È anche la neoplasia con maggiore prevalenza, cioè con uomini che vivono con una precedente diagnosi di tumore alla prostata: sono circa 560mila.

Con l’invecchiamento, in alcune persone la prostata inizia a ingrossarsi causando talvolta fastidi, per esempio legati a una maggiore frequenza dello stimolo a fare pipì. La ghiandola ingrossata preme sulla vescica e ne riduce la capienza, facendo percepire più di frequente la voglia di urinare. È di solito questa circostanza che spinge la maggior parte degli uomini a rivolgersi a un medico e a fare una visita specialistica, che normalmente comprende la palpazione della prostata.

La pratica in sé è relativamente semplice, per quanto un minimo disagevole o difficile da affrontare per alcune persone. Il medico inserisce un dito, guantato e lubrificato, nel retto del paziente e in questo modo può palpare la superficie posteriore della prostata, che si trova direttamente di fronte al retto. Il medico ne valuta la consistenza e la grandezza per fare valutazioni in base all’età del paziente e della sua storia familiare, per esempio se ci sono stati casi di tumore alla prostata tra i parenti più stretti o casi di ipertrofia prostatica, la condizione benigna che porta all’ingrossamento della ghiandola.

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La presenza alla palpazione di aree dure o noduli può essere il segno di cancro alla prostata e rende necessari ulteriori approfondimenti, con esami più specifici, ma anche un eccessivo ingrossamento può essere un indizio di qualcosa che non va.

Il problema, discusso da tempo e che ora sta portando alla revisione in Germania, è che l’esplorazione rettale da sola non è molto affidabile, perché dipende molto da chi la effettua, dalla sua esperienza e dal fatto che le eventuali anomalie siano presenti nella parte della prostata a contatto con la parete rettale e non nella parte opposta, non palpabile. È un esame con bassi livelli di sensibilità e di specificità, quindi non riesce a individuare una quota significativa di casi in cui c’è effettivamente un problema e tende a identificare erroneamente una percentuale importante di problemi in individui che in realtà non ne hanno.

Ovviamente per le diagnosi non ci si basa solamente sull’esplorazione rettale, ma anche il test del sangue più usato ha qualche problema. È il test del PSA (antigene prostatico specifico) e viene effettuato tramite un prelievo di sangue, nel quale si va alla ricerca di una proteina che viene esclusivamente prodotta dalla prostata, in condizioni normali in piccole quantità. Queste possono aumentare nel caso in cui ci sia un ingrossamento della prostata, semplicemente perché ci sono più cellule che producono la proteina, e indicare quindi indirettamente l’ipertrofia.

Valori del PSA elevati possono essere un segnale precoce di un carcinoma prostatico, ma la proteina non è un indicatore specifico del tumore. Una concentrazione sopra la soglia potrebbe indicare la presenza di altre condizioni come l’ipertrofia prostatica benigna o la prostatite, un’infiammazione della prostata che può avere varie cause e che può risolversi spontaneamente. Gli stessi valori soglia per il PSA non sono fissati con grande certezza: di solito si considera il limite di 4 nanogrammi per millilitro di sangue, ma molto dipende dall’età del paziente e da altre sue caratteristiche, talvolta compresa la familiarità.

Al momento la maggior parte delle linee guida non consiglia di utilizzare il test del PSA come sistema per lo screening della popolazione, cioè come pratica per identificare le persone che potrebbero avere una specifica malattia in una fase molto precoce o che sono a rischio elevato di svilupparla. I livelli di PSA nel sangue possono variare per molti motivi e dagli studi si è visto che il test aumenta il rischio di sovradiagnosi, cioè la diagnosi di condizioni che non avrebbero mai causato sintomi, particolari problemi di salute o una ridotta aspettativa di vita della persona interessata.

Con il raffinarsi delle tecniche diagnostiche, e la loro maggiore disponibilità, il fenomeno delle sovradiagnosi è sempre più discusso in ambito medico perché porta a identificare una condizione che dal punto di vista del singolo individuo non si sarebbe mai manifestata, o non sarebbe mai diventata clinicamente rilevante. Nel momento in cui viene rilevata, può generare ansie e preoccupazioni e diventa più difficile non intervenire con trattamenti chirurgici, farmacologici e radioterapia.

È in questo contesto che in Germania è stato avviato PROBASE, un ampio studio scientifico che coinvolge decine di migliaia di uomini di 45 anni per capire che cosa funziona meglio per fare una diagnosi precoce e per la gestione dello screening. Come avevano già indicato altre ricerche, dai risultati preliminari è emerso che l’esplorazione rettale non ha una particolare efficacia per la diagnosi precoce del tumore prostatico in questa fascia di età: individua tumori solo quando hanno già raggiunto una dimensione palpabile. Come previsto, l’esame da solo può portare a molti falsi positivi e anche a numerosi falsi negativi: se il medico non sente nulla durante l’esame non è detto che non ci sia un tumore, mentre se sente qualcosa non è detto che si tratti di un tumore.

Come ha spiegato uno degli autori della proposta di revisione delle linee guida in Germania: «Il problema con il cancro alla prostata è che può essere “non aggressivo” oppure “aggressivo”. Il primo significa che il tumore cresce lentamente, formando molto di rado metastasi, ed è raramente una minaccia per la vita del paziente: spesso non richiede nemmeno un trattamento. Siamo quindi interessati in particolare ai tumori aggressivi. Negli ultimi anni abbiamo imparato a identificarli meglio».

Per farlo si ricorre ugualmente al test del PSA, ma la modifica alle linee guida propone di usare soglie diverse. Per gli uomini con un PSA fino a 1,5 nanogrammi per millilitro viene prevista una visita di controllo dopo cinque anni, per chi ha livelli compresi tra 1,5 e 3 nanogrammi per millilitro viene invece consigliato un controllo dopo due anni. Nel caso in cui il livello sia superiore ai 3 nanogrammi per millilitro viene invece proposto di procedere con altri test come l’ecografia prostatica transrettale, un esame di diagnostica per immagini tramite una piccola sonda infilata nel retto che consente di ricostruire dimensioni e caratteristiche della prostata.

La revisione delle linee guida in Germania riflette in generale un approccio più articolato nel calcolo dei rischi e benefici, che è stato comunque al centro del recente aggiornamento delle linee guida sul carcinoma della prostata in Italia, preparate dall’Associazione italiana oncologia medica (AIOM). Il documento riconosce l’insufficienza dell’esplorazione rettale per fare una diagnosi completa, ma al tempo stesso ricorda le difficoltà legate a un impiego corretto del test del PSA. Questo può essere molto utile nelle persone con problemi di salute acclarati alla prostata (per esempio per valutare il loro andamento o l’efficacia delle terapie che stanno seguendo), mentre non è ritenuto adeguato per attività di screening sulla popolazione di uomini sopra una certa età, proprio per il rischio di sovradiagnosi.

L’approccio nelle diagnosi deve essere quindi multidisciplinare e calibrato a seconda dei pazienti, in base alla loro età e a particolari fattori di rischio, legati per esempio a casi di tumore in famiglia o a determinati sintomi. Il ricorso alla risonanza magnetica, un esame non invasivo per vedere all’interno del corpo, può offrire ulteriori indicazioni sulle variazioni dei tessuti della prostata, ma anche in questo caso deve essere effettuata per confermare una diagnosi, non come sistema di screening.

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