Forse una foto è solo una foto
Tre giorni fa Trump e Zelensky si sono parlati a San Pietro, ma almeno pubblicamente le trattative per la fine della guerra non si sono mosse granché

La foto del breve incontro fra il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e quello statunitense Donald Trump in un angolo della basilica di San Pietro, a Roma, poco prima del funerale di Papa Francesco, è stata ripresa e commentata in tutto il mondo. Per via del contesto, dell’estetica intorno ai due – i marmi della Basilica, le sedie dorate, i cardinali che si affaccendavano tutto intorno, la postura accovacciata dei due – ma anche per una sorta di auspicio che il funerale di un papa che ha fatto numerosissimi appelli per la pace favorisse il raggiungimento di un accordo per concludere la guerra.
Da allora però sono passati tre giorni e almeno pubblicamente non sembra siano stati fatti passi avanti sui negoziati di pace che l’amministrazione Trump sta conducendo da mesi con Russia e Ucraina.
Lunedì il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato unilateralmente un cessate il fuoco di tre giorni, dall’8 al 10 maggio, che però con tutta probabilità non cambierà in modo sostanziale la situazione sul campo. Già qualche settimana fa la Russia aveva annunciato una tregua simile in occasione della Pasqua festeggiata dai cristiani ortodossi, ma le forze armate russe non avevano mai rispettato davvero l’impegno a sospendere i combattimenti.

(Ufficio della presidenza ucraina via Getty Images)
Per ora l’importanza dell’incontro fra Trump e Zelensky è stata soprattutto simbolica: i due non si parlavano dalla disastrosa conversazione alla Casa Bianca del 28 febbraio, e anche solo il fatto che siano riusciti a discutere serenamente per circa 15 minuti significa che il loro rapporto non è del tutto compromesso. Non sappiamo cosa si siano detti: è chiaro soltanto che l’incontro non è andato malissimo come il precedente. Il responsabile delle comunicazioni della Casa Bianca, Steven Cheung, l’ha persino definito «molto produttivo», senza fornire ulteriori dettagli.
Mercoledì scorso, tre giorni prima del funerale, Trump aveva presentato una bozza di accordo di pace, definita da lui stesso una «offerta finale». Il documento era molto sbilanciato a favore della Russia: prevedeva per esempio il riconoscimento della sovranità russa sulla Crimea, invasa e occupata nel 2014, così come delle intere regioni ucraine invase dalle forze russe dal 2022 a oggi, anche di quelle che in questi due anni e mezzo sono state conquistate solo in piccola parte dalla Russia. In cambio il governo russo avrebbe dovuto impegnarsi a restituire all’Ucraina una piccola porzione della regione di Kharkiv occupata, e accettare una missione internazionale di peacekeeping al confine con l’Ucraina (descritta soltanto sommariamente).
– Leggi anche: Cosa c’è nella cosiddetta «offerta finale» di Trump a Russia e Ucraina
Prima dell’incontro fra Trump e Zelensky al funerale di papa Francesco, l’Ucraina aveva preso tempo e la Russia aveva commentato in termini vaghissimi il documento. Dalle dichiarazioni dei giorni successivi non sembra ci si sia spostati di molto.

Un gruppo di soldati ucraini fotografati durante un’esercitazione nella regione del Donbas (Scott Peterson/Getty Images)
Sempre lunedì Trump ha detto a un gruppo di giornalisti che a suo dire Zelensky è diventato disponibile a riconoscere la Crimea come territorio russo. Zelensky non ha commentato questa dichiarazione ma sembra difficile che le cose stiano davvero così: negli ultimi anni ha detto più volte che l’Ucraina non accetterà mai alcun accordo che preveda la cessione formale della Crimea. È una questione di identità nazionale, dato che da anni la retorica della difesa del territorio ucraino è legata strettamente a riprendersi tutti i territori occupati dalla Russia, Crimea compresa. Pone anche ostacoli legali: la Costituzione ucraina, all’articolo 2, definisce i confini ucraini (che comprendono la Crimea) «indivisibili e inviolabili».
La Russia invece ha commentato che nel documento ci sono vari punti su cui trovare un compromesso, lasciando intendere che un accordo è ancora lontano.
Domenica il segretario di Stato Marco Rubio, durante il talk show Meet the Press, ha commentato le trattative fra Russia e Ucraina in modo vago, dicendo: «Ci sono ragioni per essere ottimisti, ma anche per essere realisti. Siamo vicini [a un accordo], ma non vicini abbastanza».