Nel Mediterraneo ormai i migranti si respingono con i droni e gli aerei
L'agenzia europea Frontex ha messo in piedi un sistema che taglia fuori le ong e permette alla Libia e alla Tunisia di intercettare più efficacemente i migranti
di Luca Misculin

La mattina del 30 luglio del 2021 un motoscafo a due piani con a bordo circa 80 persone migranti partì dalle coste libiche per cercare di raggiungere l’Italia via mare. A un certo punto le persone sul motoscafo iniziarono a sentire un rumore incongruo, sempre più forte, simile a quello di un’enorme zanzara. «Sopra la nostra testa avevamo un drone», raccontò qualche mese più tardi uno di loro. «Faceva wzzzz, wzzzz, eravamo tutti spaventati».
Dopo qualche ora di navigazione il motoscafo fu sorvolato da un altro drone. «È rimasto sopra di noi per cinque minuti, facendo uno o due giri. Due ore dopo sono arrivati i libici», disse la stessa persona. Gli 80 migranti furono intercettati da una motovedetta della cosiddetta Guardia costiera libica e portati nei centri di detenzione in Libia, dove le botte, le torture e gli stupri sono quotidiani.
Da quel giorno sono passati quasi quattro anni ed episodi del genere sono ormai diventati sistematici. Ogni giorno il Mediterraneo centrale, cioè il tratto di mare che separa la Sicilia dal Nord Africa, è sorvegliato da diversi aerei e droni militari che monitorano il mare sotto di loro alla ricerca di imbarcazioni di migranti. Una volta individuate, segnalano la loro posizione alle autorità libiche e probabilmente anche a quelle tunisine. I loro equipaggi le intercettano e riportano con la forza le persone a bordo in territorio nordafricano.
«La cosa che ho osservato negli ultimi anni è che il numero di velivoli è aumentato», racconta Sergio Scandura di Radio Radicale, il giornalista più esperto nel tracciamento di questi mezzi. In tutto ce ne sono circa una decina, alcuni dei quali volano ogni giorno decollando dalle coste e isole siciliane o da Malta. Nel piccolo aeroporto di Lampedusa usano la stessa pista di atterraggio dei voli turistici che atterrano da Palermo o Milano.

La struttura principale dell’aeroporto di Lampedusa (Il Post)
Molti di questi aerei e droni sono operati da Frontex, l’agenzia europea della guardia di frontiera e costiera. Fanno parte del complesso sistema per respingere i migranti messo in piedi per aggirare le norme dell’Unione Europea secondo cui qualsiasi persona che mette piede in territorio europeo deve avere la possibilità di chiedere asilo.
Ormai da anni l’Unione Europea e vari governi nazionali cercano di impedire che i migranti arrivino fisicamente in territorio europeo, per ridurre il numero di richieste di asilo. Per farlo finanziano e sostengono paesi guidati da governi autoritari o senza un governo centrale, come nel caso della Libia, perché fermino i migranti al posto loro, dato che diverse norme nazionali e internazionali vietano ai paesi europei di farlo.
Nel Mediterraneo centrale i droni e gli aerei militari sono in uso ormai dal 2017 e sebbene pongano problemi sul piano etico e legale rendono molto più efficaci le intercettazioni.
Frontex non diffonde dati sulle ore di volo dei suoi mezzi, ma a ottobre del 2023, in una delle sue rare comunicazioni pubbliche sul tema, fece sapere che fino a quel momento nel 2023 i suoi mezzi aerei avevano individuato 130mila migranti nel Mediterraneo centrale, un aumento del 78% rispetto allo stesso periodo del 2022. Nello stesso tratto di mare fra 2022 e 2023 anche gli arrivi di migranti erano aumentati, ma “soltanto” del 49%.
Una fonte interna all’agenzia, che preferisce rimanere anonima, conferma al Post che Frontex utilizza un numero crescente di aerei e droni anche perché ha una «disponibilità limitata» di navi, «che spesso non bastano per coprire le necessità operative» (Frontex non ha una vera flotta e si appoggia spesso su navi ed equipaggi delle guardie costiere nazionali).
Non c’è dubbio, però, che aerei e droni permettano di osservare più accuratamente un tratto di mare rispetto alle navi, per varie ragioni. Sono molto più veloci, per esempio, e quindi possono coprire un’area di ricerca in meno tempo rispetto a una nave: per di più dall’alto, quindi con una visuale decisamente migliore sulla posizione esatta delle imbarcazioni.

Un’imbarcazione di migranti fotografata dall’alto nel Mediterraneo centrale (Il Post)
Il modello Super King Air prodotto dall’azienda statunitense Beechcraft, un piccolo aereo bimotore usato da anni da Frontex col nome in codice di Eagle 1, ha una velocità di crociera superiore ai 500 chilometri all’ora. Dalla sua base di competenza di Lampedusa può arrivare a ridosso delle coste tunisine in pochi minuti. Le motovedette della Guardia costiera italiana dette “Charlie Papa”, cioè quelle più attrezzate per il soccorso in mare, possono invece arrivare a 70 chilometri orari.
Con un aereo si può tranquillamente fare avanti e indietro fra le coste siciliane e quelle del Nord Africa in poche ore, cercando imbarcazioni di migranti con un pattern di ricerca che si definisce “a pettine” per coprire un’area più grande possibile.
Un drone fa tutte queste cose, ma in maniera più efficiente. A bordo non ci sono umani che si stancano e dopo qualche ora hanno bisogno di una pausa, e il peso più contenuto rispetto a un aereo gli permette di rimanere in volo molto più a lungo. Un bimotore anche di ultima generazione può volare per qualche ora: poi il carburante nel serbatoio si esaurisce. Il drone israeliano Heron prodotto dall’azienda statale israeliana IAI e usato da Frontex dal 2021 è invece in grado di rimanere in volo per più di 30 ore.
Quasi ogni giorno si alza in volo dalla base aerea di Luqa, nel sudest di Malta, e pattuglia il tratto di mare che separa l’isola dalla Libia orientale, di fronte alla quale c’è un tratto di mare in cui non ci sono isole e dove quindi navi e aerei si avventurano raramente. Grazie all’impiego di droni, Frontex riesce a sorvegliare anche questa zona e garantire un pattugliamento su tutto il Mediterraneo centrale.
I droni di Frontex sono anche attrezzati per filmare in tempo reale quello che succede in mare: le immagini vengono girate in diretta nel centro di controllo dell’agenzia a Varsavia, in Polonia, e condivise con le varie autorità nazionali. In Italia queste immagini vengono ricevute dalla Sala operativa della Guardia costiera, a Roma, un ufficio i cui muri sono ricoperti di schermi e carte nautiche.

La sala operativa della Guardia costiera di Roma fotografata nel 2015 (ANSA/ANGELO CARCONI)
L’uso dei droni per individuare navi di migranti è comunque problematico per varie ragioni. Ce n’è una più immediata: l’effetto psicologico sulle persone.
Diverse persone in contesti diversi da quello del Mediterraneo centrale hanno raccontato la sensazione di angoscia e incertezza provocata da un oggetto senza sigle o bandiere o umani a bordo che fa un rumore assordante sopra le proprie teste. Si può solo immaginare l’effetto che faccia a persone stipate su una imbarcazione in pessime condizioni in mezzo al mare.
– Leggi anche: L’unico aereo civile che cerca i migranti nel Mediterraneo
C’è poi un’implicazione più ampia. Non avendo umani a bordo i droni non possono diramare messaggi radio di mayday: cioè quelli che nel gergo marittimo si inviano per segnalare situazioni di estrema difficoltà. In tutto il mondo, quindi anche nel Mediterraneo, i mayday marittimi si segnalano sul canale 16 del sistema VHF, cioè il sistema radio che devono avere a bordo per legge tutte le navi che si allontanano più di 6 miglia marittime (circa 11 chilometri) dalla costa.
Il fatto che un drone non possa mandare messaggi di mayday via radio è un grosso problema: significa che se osserva dall’alto un’imbarcazione di migranti in difficoltà non può segnalarne la presenza alle navi o agli aerei che si trovano nelle vicinanze, che potrebbero captare quel messaggio via radio.
Anche con i suoi aerei, comunque, Frontex invia pochissimi messaggi di mayday perché in base al suo mandato considera «in pericolo» soltanto le navi ferme in mezzo al mare e senza acqua, cibo e carburante. Chi ha esperienza di soccorso in mare nel Mediterraneo sa bene però che le imbarcazioni di migranti sono quasi sempre sovraffollate e in pessime condizioni e quindi «in pericolo», con rare eccezioni.

Un drone Heron usato dall’esercito israeliano sopra Beirut, in Libano (Ugur Yildirim/ dia images via Getty Images)
In generale le informazioni raccolte dai droni vengono condivise anche con le autorità che hanno il compito di intercettare le imbarcazioni di migranti: cioè le autorità libiche e con tutta probabilità anche quelle tunisine.
Alla fine del 2022 il collettivo Border Forensics ha notato una correlazione fra le ore di volo dei droni di Frontex e il numero di imbarcazioni di migranti intercettate dalla Guardia costiera libica: più i droni rimangono in volo, e più le imbarcazioni di migranti vengono fermate e le persone a bordo riportate con la forza in Libia.
Anche gli equipaggi delle navi delle ong che soccorrono i migranti nel Mediterraneo vedono ogni giorno le conseguenze di queste comunicazioni, da cui sono tagliate fuori. «Succede abbastanza di frequente», racconta Nicola Stalla, che per SOS Méditerranée si occupa di ricerca e soccorso in mare: «dal momento in cui vedi una motovedetta libica che sfreccia a tutta velocità e tu non ne sai niente, significa che la motovedetta ha avuto informazioni che tu non hai ricevuto, cioè dagli assetti aerei».
Con la Libia i contatti sono certi, ma lo stesso non si può dire per la Tunisia e l’autorità nazionale che compie le intercettazioni, cioè la Garde nationale. Sergio Scandura si dice sicuro che le informazioni provenienti dagli aerei e dai droni di Frontex arrivino anche alle autorità tunisine, in base alle sue attività di tracciamento di aerei e navi militari nel Mediterraneo centrale. Luca Marelli, attivista della ong Sea-Watch che si occupa da tempo di sorveglianza aerea in mare, ipotizza che possa essere la Sala operativa della Guardia costiera italiana a passare le informazioni ricevute dai droni e dagli aerei di Frontex alla Garde nationale tunisina.
Tutte queste domande si potrebbero rivolgere alla Guardia costiera italiana, che però ormai da anni ha smesso di rispondere alle domande dei giornalisti sulle proprie attività di soccorso in mare e di coordinamento con le autorità libiche e tunisine.
Non esistono dati pubblici e recenti sull’utilizzo di droni e aerei militari per individuare migranti nel Mediterraneo, anche se tutto fa pensare che la loro attività stia continuando a intensificarsi.
L’ong Human Rights Watch ha calcolato che nel 2021 circa una persona migrante su tre intercettata in mare e riportata con la forza in Libia è stata trovata grazie a missioni aeree militari. È plausibile che oggi questo dato sia più alto, anche perché nel frattempo la spesa di Frontex per la sorveglianza aerea è aumentata. Secondo stime di Altreconomia, nel 2021 l’agenzia aveva speso 84,5 milioni per comprare aerei e droni da sorveglianza. Nel 2023 erano già diventati 172, più del doppio. Nell’estate del 2024 Frontex ha aperto un bando da 184,3 milioni di euro soltanto per l’acquisto di droni da usare in mare.
Non sono disponibili dati più recenti o granulari. Lorenzo Pezzani, architetto e professore associato, per l’università di Bologna guida il gruppo di lavoro LIMINAL, che indaga sull’impatto della sorveglianza aerea nel respingimento di migranti. Liminal è riuscito a stimare che fra il 2019 e il gennaio del 2023 le informazioni raccolte coi droni e con gli aerei di Frontex abbiano avuto come conseguenza l’intercettazione di almeno 27.288 migranti.
Pezzani e i suoi collaboratori hanno elaborato questa cifra a partire da alcuni documenti interni di Frontex ottenuti con una richiesta di accesso agli atti. «I dati che abbiamo chiesto nel 2021 e nel 2022 erano ancora piuttosto completi; quelli relativi al 2022-2023 avevano dei buchi», dice Pezzani. «Abbiamo chiesto i dati relativi al 2024 e ci hanno negato l’accesso».