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  • Venerdì 7 febbraio 2025

Negli scontri nella Repubblica Democratica del Congo c’entrano anche le miniere

Quelle sul confine con il Ruanda sono ricche di coltan, necessario per produrre i chip, e le attività estrattive sono in parte controllate dai ribelli dell'M23

(Photo by Matt Moyer/Getty Images)
(Photo by Matt Moyer/Getty Images)
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Nelle ultime due settimane nella Repubblica Democratica del Congo sono in corso intensi scontri tra i ribelli dell’M23, sostenuti dal vicino Ruanda, e l’esercito congolese. Le violenze si stanno concentrando nella parte orientale del paese e soprattutto intorno alla città di Goma, dove la situazione umanitaria è disastrosa.

Gli scontri hanno a che fare con radicate ragioni etniche, ma non solo: la zona di confine tra i due paesi è ricca di risorse minerarie e soprattutto di coltan, necessario per produrre i microchip degli smartphone e di altri dispositivi digitali, e quindi molto ricercato. Da anni i ribelli dell’M23 controllano parte delle attività estrattive nell’est della Repubblica Democratica del Congo: secondo diverse fonti, tra cui le Nazioni Unite, trafficano le materie prime in Ruanda, che poi le esporta in tutto il mondo.

Il coltan è un minerale grezzo, che si presenta sotto forma di piccoli frammenti di roccia o sabbia scura, e si chiama così perché composto da columbite e tantalite – da cui si estraggono il niobio e il tantalio. Quest’ultimo è usato per fare i microchip presenti in praticamente ogni apparecchio elettronico in commercio: dagli smartphone alle automobili, dai pc alle lavatrici.

La Repubblica Democratica del Congo è uno dei paesi con le più ampie risorse di coltan al mondo. Sono concentrate soprattutto nella provincia di Kivu, nella zona orientale, dove si stanno svolgendo gli scontri. La maggior parte delle attività estrattive avviene in miniere informali dove i minatori lavorano in modo autonomo con poco o nessun controllo, in pessime condizioni di sicurezza ed esponendosi anche a grossi rischi sanitari.

(AP Photo/Schalk van Zuydam)

Nonostante il coltan si trovi principalmente nel sottosuolo della Repubblica Democratica del Congo, il principale esportatore di questo minerale e dei metalli che ne derivano è il Ruanda, che con il Congo condivide un confine lungo oltre 2oo chilometri e un pezzo di storia che c’entra con il genocidio del 1994.

Secondo diverse organizzazioni internazionali e governi occidentali, oggi il Ruanda finanzia, addestra e comanda il gruppo armato dell’M23. Il Ruanda ha sempre negato, e anzi il presidente Paul Kagame ha cercato negli ultimi anni di presentarsi al mondo come un leader affidabile e in grado di garantire la stabilità della regione. Tuttavia esistono diverse prove che mostrano migliaia di soldati ruandesi nel territorio della Repubblica Democratica del Congo, tra cui video, fotografie, immagini satellitari, testimonianze, indagini d’intelligence e report delle Nazioni Unite.

Negli ultimi tre anni i ribelli dell’M23 hanno preso il controllo di diverse miniere della regione congolese di Kivu Nord, sul confine con il Ruanda. Dall’aprile del 2024 il gruppo controlla la città mineraria di Rubaya, con modalità che le Nazioni Unite hanno assimilato a quelle di un vero e proprio apparato statale: approvano permessi e raccolgono imposte per l’estrazione e per il commercio del coltan, integrano la paga giornaliera dei minatori per assicurarsi che continuino a lavorare, controllano il territorio con la minaccia della detenzione.

Secondo le stime dell’ONU, dalle attività a Rubaya l’M23 guadagna l’equivalente di 800mila dollari al mese (oltre 770mila euro), che in parte usa per finanziare gli attacchi contro l’esercito della Repubblica Democratica del Congo. Secondo diversi report, una parte consistente delle materie prime estratte finisce per essere trafficata nel vicino Ruanda, che poi le esporta in tutto il mondo traendone profitto. «Tutti sanno che solo una porzione, una parte indefinita delle esportazioni [di coltan] del Ruanda arriva dal Ruanda stesso, mentre la maggior parte viene dal Congo» ha detto a Politico Erik Kennes, ricercatore dell’Egmont Institute, un think tank di Bruxelles. Le Nazioni Unite hanno stimato che nel 2024 siano state esportate illegalmente in Ruanda 150 tonnellate di coltan.

In teoria dovrebbe esistere un sistema di tracciamento per permette alle aziende di sapere da dove proviene il coltan che acquistano, ed evitare di rifornirsi da miniere illegali o che contribuiscono ad arricchire le milizie ribelli. Prevede che sui carichi di materiale estratto da miniere regolari, che non fanno uso di lavoro minorile e non sono collegate ai gruppi ribelli, sia apposta una targa che ne certifica la provenienza sicura.

Tuttavia la natura informale del settore estrattivo nel paese, il potere delle milizie e la diffusa corruzione rendono molto facile aggirare questo sistema. Ken Matthysen, esperto di sicurezza e gestione delle risorse, ha spiegato a BBC che spesso i magazzini dove vengono stoccati i carichi provenienti da miniere illegali e legali sono gli stessi, e questo li rende difficili da distinguere. Inoltre sono stati documentati casi in cui i funzionari incaricati dei controlli vendono le etichette di certificazione ai commercianti illegali, in modo da ripulire il loro carico.

Una protesta fuori dalla sede di Apple a Londra, 6 aprile 2024 (Krisztian Elek/SOPA Images via ANSA)

Diverse multinazionali sono state accusate di utilizzare materiali provenienti da miniere non controllate e di utilizzare degli intermediari per evitare il collegamento diretto con il commercio illegale. A dicembre dell’anno scorso per esempio proprio la Repubblica Democratica del Congo aveva presentato una denuncia contro le sussidiarie di Apple in Belgio e in Francia. Gli avvocati che agiscono per conto del ministero della Giustizia congolese sostengono che il problema riguardi Apple in generale, ma hanno deciso di intentare la causa contro le sedi di Francia e Belgio perché ritengono che le leggi e la giurisprudenza di questi due paesi diano loro maggiori possibilità di successo.

Nel febbraio del 2024 l’Unione Europea firmò un memorandum d’intesa con il governo del Ruanda relativo all’approvvigionamento di materie prime critiche, tra cui anche il coltan e i metalli derivati. Il memorandum è un accordo usato per avviare delle collaborazioni non troppo vincolanti.

Quello con il Ruanda prevede che l’Unione paghi 900 milioni di euro per lo sviluppo delle infrastrutture nel settore estrattivo ruandese, in cambio dell’accesso alle risorse che l’Unione Europea ritiene fondamentali per molti settori produttivi e per la transizione energetica. I soldi stanziati fanno parte dell’insieme di investimenti da 300 miliardi di euro che l’Unione Europea ha previsto in risposta alla Nuova via della Seta, un grande progetto economico e politico promosso dalla Cina che prevede investimenti su infrastrutture in tutto il mondo.

Il presidente della Repubblica Democratica del Congo Félix Tshilombo Tshisekedi aveva definito l’accordo tra Ruanda e Unione Europea una «provocazione di cattivo gusto».

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